domenica 12 Ottobre 2025
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Amata: Maternità, scelte difficili e un grido di speranza.

“Amata”, il nuovo film di Elisa Amoruso, si configura come un’intima esplorazione della maternità, un viaggio commovente attraverso le zone d’ombra e le scelte complesse che gravano sulle spalle delle donne.
Lungi dall’essere una semplice narrazione cinematografica, il film si erge a specchio di una realtà spesso taciuta, un grido di sollecitudine verso chi si trova ad affrontare scelte difficili e dolorose.

Al centro della storia due figure femminili, apparentemente distanti, ma unite da un destino sottile e profondo.
Nunzia (Tecla Insolia), giovane studentessa universitaria, si trova improvvisamente ad affrontare una gravidanza inattesa, un fardello che la costringe a confrontarsi con decisioni cruciali e a navigare in un mare di incertezze.
Dall’altra parte, Maddalena (Miriam Leone), una donna agiata, intrappolata in un matrimonio apparentemente perfetto, vive l’angoscia della sterilità, un vuoto che attanaglia la sua esistenza nonostante i tentativi, spesso traumatici, di concepire.

La dicotomia tra le due protagoniste non è solo generazionale o sociale, ma esistenziale.

Nunzia è schiacciata dalla responsabilità di una vita che non si sente pronta ad accogliere, mentre Maddalena soffoca nell’assenza di quella stessa vita, in un limbo di desideri inappagati e frustrazioni silenziose.

Il film, con delicatezza e sensibilità, evita giudizi affrettati, offrendo uno sguardo empatico e comprensivo verso entrambe le donne.
Amoruso, nel suo approccio registico, si allontana da una retorica paternalistica, preferendo lasciare spazio alle emozioni dei personaggi.
La “culla per la vita” e il supporto di una psicologa competente (Donatella Finocchiaro) emergono non come soluzioni miracolose, ma come isole di conforto in un mare di solitudine e disperazione.
Il film sottolinea l’urgenza di un’informazione più diffusa sull’esistenza di queste strutture e sulla possibilità di un parto anonimo, strumenti che potrebbero scongiurare tragiche vicende di cronaca, come quelle che hanno scosso l’opinione pubblica nel corso degli anni.
La regista condivide un’esperienza personale, un aborto spontaneo che l’ha profondamente segnata, un tema tabù troppo spesso relegato al silenzio.

Questa confessione aggiunge un ulteriore strato di autenticità al film, rendendolo ancora più toccante e coinvolgente.
“Amata” si colloca nel genere drammatico, ispirato a fatti di cronaca che illuminano aspetti inediti del nostro modo di vivere, stimolando riflessioni sociali e suscitando emozioni intense.

L’influenza di “The Good Mothers” e di registi come Truffaut è evidente nella volontà di smuovere le coscienze, non attraverso messaggi didascalici, ma attraverso la potenza delle immagini e la capacità di commuovere.
La regista, riflettendo sul suo passato, accenna alla possibilità di rifare il documentario su Chiara Ferragni, riconoscendo come il contesto sociale e culturale abbia profondamente mutato la figura dell’influencer, trasformandola da icona di imprenditorialità digitale a simbolo di un’ascesa vertiginosa seguita da una caduta inesorabile.

“Amata” è una produzione complessa, frutto della collaborazione tra Memo Films, Indiana Production e Rai Cinema, un progetto ambizioso che si propone di aprire un varco nel muro del silenzio, offrendo una voce a chi si sente invisibile e un messaggio di speranza a chi cerca una via d’uscita dalla tempesta.

Il film vuole essere un atto di coraggio, un invito a guardare il mondo con occhi nuovi, a comprendere la complessità delle scelte umane e a celebrare la forza e la resilienza delle donne.

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