L’apice della vittoria, quell’istante di esultanza incontenibile, è un’esperienza che trascende la logica, un’onda di pura emozione che inonda l’anima.
È ciò che ha descritto Julio Velasco, voce esperta del volley femminile, durante il Festival dello Sport di Trento.
Subito dopo, tuttavia, si insinua una sensazione inattesa, una sorta di eco malinconica, un senso di vuoto che, con sorprendente parallelismo, si ricollega all’esperienza del parto.
Molte madri, racconta Velasco, condividono questa percezione: l’esaltazione della nascita è seguita da un momento di profonda riflessione, quasi di perdita, legata all’allontanamento fisico del bambino, un legame primordiale interrotto.
La filosofia che Velasco ha inculcato alla nazionale femminile in questi ultimi due anni si fonda su un principio cardine: l’emancipazione.
Non si tratta di un’emancipazione fine a sé stessa, ma di un processo volto a formare atlete complete, capaci di prendere decisioni autonome e di assumersi la responsabilità delle proprie azioni in campo.
L’allenatore, secondo Velasco, non deve ergersi a figura autoritaria, a pilastro imprescindibile da cui tutto dipende.
Questa dinamica, a suo avviso, trasmette un messaggio distorto, inibisce l’iniziativa e soffoca il potenziale individuale.
L’allenatore ideale non si pone al centro del sistema, non si arrocca in una posizione di comando, ma piuttosto fornisce gli strumenti, le strategie e le conoscenze necessarie per permettere alle atlete di esprimersi al meglio.
Velasco ha sempre sottolineato l’importanza di delegare, di fidarsi delle proprie giocatrici, incoraggiandole a prendere in mano il proprio destino sportivo.
L’autonomia non è sinonimo di abbandono, ma implica un percorso di crescita, una responsabilizzazione che porta alla consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti.
Essere autorevoli significa assumersi la responsabilità delle proprie scelte, prendere iniziative in campo, guidare la squadra con coraggio e determinazione.
E questo può avvenire solo quando si è liberi da vincoli esterni, quando non si dipende da un’autorità superiore.
L’obiettivo è creare una squadra coesa, dove ogni giocatrice si senta parte integrante del progetto, dove ogni decisione sia il frutto di un ragionamento condiviso.
Una squadra, in definitiva, dove la leadership non è un privilegio, ma una responsabilità condivisa.