Calcio globalizzato: Rabiot e Maignan contro la deriva economica.

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L’affermazione di Adrien Rabiot, condivisa con forza anche dal portiere Mike Maignan, solleva una questione di principio che va ben oltre la mera logistica di una partita di calcio.

La prospettiva di disputare incontri di campionati nazionali, come Milan-Como, in territori lontani, in Australia, evidenzia una deriva preoccupante nel mondo del calcio professionistico, una priorità spostata dall’importanza sportiva alla mera dimensione economica e di marketing.La critica di Rabiot, definita “folle e pazzesca”, non è semplicemente una reazione emotiva, ma il sintomo di una profonda riflessione sulla natura stessa del calcio.

Si sta progressivamente erodendo l’identità locale, il legame storico che lega una squadra al suo pubblico, alla sua città, alla sua regione.

Un “Milan-Como” a Perth priva i tifosi milanisti e comaschi dell’esperienza unica di sostenere la propria squadra nel contesto familiare e consueto del proprio stadio.
Si perde il calore, l’atmosfera, la tradizione che alimentano la passione per il calcio.
La decisione di esportare le partite, inoltre, implica una perdita di controllo sul contesto ambientale e sulla sicurezza degli eventi, aspetti cruciali per la tutela dei tifosi e per la salvaguardia dell’immagine del calcio.
Il valore aggiunto di una partita casalinga, fondamentale per la gestione dei risultati e per la costruzione di un vantaggio competitivo, viene vanificato.
Si rinuncia a un elemento strategico importante per gli obiettivi ambiziosi che le squadre si prefiggono.
La questione sollevata da Maignan, che sottolinea l’importanza di non lasciare nulla al caso in un contesto di obiettivi elevati, è particolarmente rilevante.

Ogni dettaglio, ogni variabile, riveste un’importanza cruciale nel percorso verso il successo.
Esportare una partita in un continente diverso significa introdurre elementi di incertezza che potrebbero compromettere la performance della squadra.

Questo fenomeno, in definitiva, rischia di trasformare il calcio da sport di squadra, radicato nella comunità, a prodotto di intrattenimento globalizzato, privo di anima e di identità.
La critica di Rabiot e Maignan non è una protesta sterile, ma un appello alla ragione, un invito a riflettere sul futuro del calcio e a difendere i valori che ne costituiscono l’essenza.

La sostenibilità di un modello basato esclusivamente sulla massimizzazione del profitto, a scapito dell’identità e della passione, è quanto meno discutibile.
Si tratta di preservare la vocazione popolare e la sua storia, non di trasformarlo in un mero veicolo finanziario.