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Colli del Tronto: incendio e rabbia, la comunità chiede risposte

La comunità di Colli del Tronto, nel cuore dell’Ascoli Piceno, è sull’orlo della protesta, testimonianza di una vertenza complessa e pluriennale con l’azienda Adriatica Bitumi.

L’incendio scoppiato nella fabbrica, seppur prontamente domato, ha riacceso le preoccupazioni e l’indignazione di una popolazione che da anni convive con un fardello ambientale e sociale sempre più gravoso.
Il sindaco Andrea Cardilli, voce autorevole e portavoce delle istanze dei cittadini, ha espresso con forza la necessità di un intervento urgente e risolutivo.

La preoccupazione non è circoscritta all’immediato pericolo rappresentato dalle fiamme e dalla nube di fumo acre, visibile a chilometri di distanza, bensì si radica in un disagio cronico, alimentato da odori persistenti, descritti come nauseabondi, e dalla sensazione di impotenza di fronte a una situazione percepita come insostenibile.

L’ordinanza che vieta temporaneamente il consumo di ortaggi provenienti dalle aree circostanti, stabilendo un perimetro di sicurezza di tre chilometri verso Pagliare e un chilometro all’interno del comune, è una misura pragmatica volta a mitigare i rischi immediati per la salute pubblica.

Tuttavia, questa decisione non risolve il nodo centrale della questione: la presenza di un’industria potenzialmente impattante in prossimità di un centro abitato.

La situazione è resa ancora più problematica da un intreccio di responsabilità e vincoli che sembrano paralizzare l’azione del Comune.
Le verifiche condotte dall’ARPA e dall’ASL, che attestano la conformità dell’azienda alle normative vigenti, si scontrano con la percezione diffusa di una realtà ben diversa.

La mancanza di strumenti legali che permettano al Comune di disporre la chiusura dell’impianto, unita al rischio di ingenti risarcimenti in caso di contestazione, genera un senso di frustrazione e di impotenza.
Il tentativo di delocalizzazione dell’azienda, promesso cinque anni fa a Controguerra (Teramo), si è rivelato un’illusione, un’ulteriore ferita in una storia di promesse non mantenute.

Le successive modifiche all’impianto, autorizzate dagli stessi enti che ne vigilano la conformità, alimentano il sospetto di una connivenza che compromette la tutela della salute pubblica.

La concessione trentennale, un vincolo di lunga durata, aggrava ulteriormente la situazione, rendendo difficile qualsiasi prospettiva di cambiamento.
Il sindaco Cardilli ha avanzato una richiesta precisa e inequivocabile: un tavolo tecnico congiunto, composto da ARPA, ASL e Prefettura, volto a definire azioni concrete e misure di garanzia per la salvaguardia della salute dei cittadini.

L’auspicio è che questo incontro possa tradursi in un impegno formale e scritto da parte delle istituzioni, che si assumano la responsabilità di tutelare il benessere della comunità, trovando soluzioni sostenibili e durature per risolvere questa complessa vertenza.
La questione non è solo ambientale, ma anche sociale ed economica, e richiede un approccio integrato che tenga conto di tutte le implicazioni in gioco, mirando a un futuro in cui sviluppo industriale e qualità della vita possano coesistere in armonia.

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