Nel novembre 2024, una donna italiana di 46 anni, gravata da due sentenze definitive – otto anni per lesioni personali e danneggiamento alla proprietà pubblica risalenti al 2012, e sei mesi per resistenza e lesioni a operatori di polizia del 2019 – ottenne l’ammissione al regime di detenzione domiciliare, in applicazione di un regime detentivo alternativo.
Tuttavia, la fragilità del percorso riabilitativo si manifestò rapidamente.
Il 24 dicembre 2024, un controllo di routine da parte della Squadra Volante della Questura di Ancona la sorseggiò in una via pubblica in uno stato di alterazione alcolica evidente, evidenziando una persistente difficoltà nel controllo degli impulsi e un potenziale conflitto con le condizioni di rilascio.
L’episodio portò alla sospensione del beneficio della detenzione domiciliare, con il ritorno alla carcerazione come misura detentiva primaria, un campanello d’allarme sulla reale possibilità di reinserimento sociale in tale contesto.
Nonostante ciò, nel gennaio 2025, l’Ufficio di Sorveglianza di Ancona, valutando forse elementi positivi non immediatamente visibili, concesse nuovamente l’ammissione al regime di detenzione domiciliare.
Il 15 agosto 2025, una nuova violazione, ancora più grave della precedente, sconvolse il percorso riabilitativo.
La donna fu sorpresa alla guida di un veicolo con un tasso alcolemico di 2,30 g/l, un valore significativamente elevato che indicava un problema serio di dipendenza o, quantomeno, una reiterata mancanza di consapevolezza delle conseguenze delle proprie azioni.
L’atto di guida in stato di ebbrezza, a cui si aggiunse un comportamento oltraggioso nei confronti degli agenti intervenuti per effettuare il controllo, configurò una serie di reati che comprendevano l’evasione dal regime di detenzione domiciliare, la guida in stato di alterazione psicofisica e l’oltraggio a pubblico ufficiale.
L’accaduto solleva interrogativi cruciali sulla gestione dei benefici penali in casi di soggetti con problematiche comportamentali complesse.
La reiterazione di comportamenti illegali, aggravati dalla violenza verbale verso le forze dell’ordine, suggerisce la necessità di un approccio multidisciplinare che coinvolga servizi sociali, psicologi e, potenzialmente, interventi di disintossicazione.
La decisione di associare la donna alla Casa Circondariale di Pesaro il 27 agosto, per l’espiazione della pena, rappresenta una misura di sicurezza e un segnale di fallimento del tentativo di reinserimento sociale, almeno nel breve termine.
Il caso pone l’accento sulla complessità della giustizia penale e sulla sfida di bilanciare la riabilitazione con la tutela della sicurezza pubblica.