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giovedì 23 Ottobre 2025

Femminicidio a Ripaberarda: L’accusa punta sulla premeditazione.

Il drammatico evento verificatosi a Ripaberarda, nel comune di Castignano (Ascoli Piceno), ha scosso profondamente la comunità e sollevato interrogativi urgenti sulla spirale della violenza domestica e sulle sue radici più oscure.

Massimo Malavolta, imputato per il femminicidio di Emanuela Massicci, si trova ora al vaglio della giustizia, con un rinvio a giudizio che apre una fase cruciale per l’accertamento della verità e la ricerca di giustizia per la vittima e i suoi cari.

L’atto violento, consumatosi il 19 dicembre 2024, ha lasciato un’eredità di dolore e ferite profonde, materializzate in fratture multiple al naso, a sette costole e all’ulna sinistra di Emanuela.

Il tentativo di suicidio dell’uomo, prontamente sventato dall’intervento dei Carabinieri, non ha impedito l’avvio di un procedimento giudiziario complesso e doloroso.
La Corte d’Assise di Macerata, chiamata a giudicare il caso a partire dall’8 gennaio 2026, ha ammesso la costituzione di parte civile da parte dei genitori e dei due figli della donna, riconoscendo la necessità di un sostegno legale e morale per i familiari, traumatizzati da una perdita così devastante.
La Procura della Repubblica di Ascoli Piceno contesta a Malavolta l’omicidio pluriaggravato, inquadrandolo come l’epilogo di una lunga e premeditata campagna di abusi.

L’accusa sostiene che il femminicidio non è stato un gesto impulsivo, ma il culmine di un percorso di maltrattamenti, lesioni e torture, praticati sistematicamente nei confronti della vittima.
Le aggravanti contestate delineano un quadro di violenza premeditata e sadica: l’atto commesso ai danni della moglie, la crudeltà nell’esecuzione, la mancanza di movente apparente e lo sfruttamento della vulnerabilità della donna.
Le indagini hanno rivelato che i maltrattamenti si sarebbero protratti per tutto il 2024, estendendosi a colpire anche i figli minori, esposti a una dinamica familiare distorta e violenta.

L’accusa sottolinea come la vittima fosse stata ridotta a uno stato di completa dipendenza e impotenza, segregata in casa, privata della libertà di movimento e di espressione, e deliberatamente indebolita per sottometterla al controllo dell’aggressore.
Le lesioni fisiche, aggravate dall’utilizzo di strumenti da punta e taglio, testimoniano la ferocia e la premeditazione del gesto.
Questo tragico evento non può essere considerato un caso isolato, ma un campanello d’allarme che richiama l’attenzione sulla necessità di interventi urgenti e strutturali per prevenire e contrastare la violenza di genere.
È fondamentale investire in programmi di educazione, sensibilizzazione e supporto alle vittime, nonché rafforzare i meccanismi di protezione e contrasto alla criminalità domestica.
La giustizia, in questo contesto, non è solo una questione di punizione, ma un imperativo morale per tutelare la dignità umana e garantire la sicurezza di tutte le donne.

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