La scomparsa di Sadjide ‘Sagi’ Muslija, 49 anni, operaia macedone di Jesi, ha squarciato il tessuto di una comunità, rivelando l’ombra insidiosa e pervasiva della violenza domestica.
La sua tragica fine, avvenuta nelle mura della sua abitazione a Pianello Vallesina, pone un’urgente questione di responsabilità sociale e di fragilità femminile.
Antonella Giampieri, titolare di Confezioni Privilegio, dove Sagi lavorava da diciotto anni, ha fornito dettagli inquietanti sulla sua esistenza, dipingendo un quadro di progressiva disperazione e di una convivenza segnata dalla paura.
La coppia, separata fisicamente all’interno della stessa casa – lei al piano superiore, lui nella taverna – incarnava una forma di coabitazione forzata, un limbo doloroso in cui la speranza di una separazione legale e definitiva si scontrava con ostacoli materiali e psicologici.
La dinamica della coppia era caratterizzata da un profondo isolamento emotivo.
I pasti condivisi erano un’eccezione, limitati alla presenza di parenti, testimoni involontari di una relazione in crisi.
La ferocia dell’uomo, manifestatasi con un tentativo di effrazione violento nella primavera precedente – un episodio che vide Sagi rifugiarsi presso una vicina – non aveva scalfito un’atmosfera di terrore latente.
La ricostruzione degli eventi smentisce la narrazione di un ritorno volontario nella casa coniugale: Sagi, intrappolata in una rete di dipendenza economica e affettiva, si trovava a convivere con il suo aguzzino.
La libertà condizionale del marito, ottenuta dopo un patteggiamento per violenze e maltrattamenti, aveva rappresentato per Sagi una nuova, angosciante fase.
La speranza di un esilio definitivo dell’uomo era rimasta vana, alimentando un senso di impotenza e di precarietà.
I tentativi di Sagi di accedere a strutture di accoglienza per donne maltrattate si erano rivelati vani, ostacolati dalla necessità di far fronte agli oneri del mutuo e dalla volontà di non abbandonare il lavoro, fulcro della sua stabilità e del suo sostentamento.
La lontananza del figlio, residente in Svizzera, aggiungeva un ulteriore strato di complessità alla sua situazione, rendendo ancora più difficile l’ipotesi di una nuova vita lontano dall’uomo.
Il cambiamento nella personalità di Sagi era palpabile: una donna un tempo solare e sorridente, si era progressivamente chiusa in se stessa, confidando le sue paure e angosce alle colleghe, aprendo una crepa nel muro del silenzio che spesso avvolge le vittime di violenza.
L’abuso di alcol e la gelosia ossessiva del marito avevano contribuito a creare un clima di tensione costante, mentre la paura serpeggiava nell’aria, soffocando la speranza e alimentando la disperazione.
La tragedia di Sagi Muslija, dunque, non è solo un atto di violenza individuale, ma un campanello d’allarme che richiede un’azione urgente e coordinata per proteggere le donne a rischio e per contrastare la cultura della violenza che affonda le sue radici nella nostra società.







