La tragedia che ha scosso la comunità di Monte Roberto si addensa di interrogativi e amnesie selettive.
Nazif Muslija, operaio macedone di 50 anni, si trova al centro di un’indagine per l’omicidio volontario aggravato della moglie, Sadjide, 49 anni, sarta di Jesi.
L’uomo, fermato in seguito a un primo interrogatorio confuso e frammentato, ha apparentemente cancellato dalla memoria gli eventi cruciali della mattina del 3 dicembre, giorno in cui la moglie è stata brutalmente assassinata con un colpo inferto con un tubo metallico nella loro abitazione di Pianello Vallesina.
L’udienza di convalida del fermo, tenutasi a distanza tramite videocollegamento dinanzi alla giudice per le indagini preliminari Daniela Bellesi, si è rivelata un labirinto di “non so” e “non ricordo”.
L’avvocato d’ufficio Gloria Droghetti ha richiesto che i servizi sanitari carcerari redigano una perizia sulle condizioni psicofisiche del suo assistito, una procedura standard in casi di presunta compromissione della capacità di intendere e di volere.
Durante l’udienza, Muslija ha mostrato segni di profondo turbamento, con tratti di commozione, ma ha evitato accuratamente qualsiasi riferimento alla moglie, alla loro relazione e alle circostanze che hanno preceduto e portato alla morte di Sadjide.
Le contestazioni riguardanti la fuga in auto, il possesso di denaro e carte di credito, e persino il presunto tentativo di suicidio, hanno suscitato solo risposte evasive, oscurate dalla presunta amnesia.
L’uomo ha affermato di essersi risvegliato al pronto soccorso dell’ospedale di Camerino, completamente ignaro dell’accaduto, offrendo una versione dei fatti che solleva interrogativi sulla sua reale consapevolezza degli eventi.
La vicenda si intreccia con un passato segnato da pregressi episodi di violenza e maltrattamenti, denunciati da Sadjide negli ultimi due anni.
Il percorso di riabilitazione in un centro per maltrattanti, concordato in precedenza, suggerisce un riconoscimento, almeno formale, della propria condotta aggressiva.
La difesa, nel tentativo di attenuare la responsabilità dell’imputato, ha tentato di far emergere un quadro di uomo tormentato, spaventato dalla prospettiva di un ritorno in carcere, ma questa narrazione non ha fornito alcun dettaglio concreto sulle dinamiche del femminicidio, né ha chiarito le ragioni di una presunta amnesia così radicale.
La richiesta di una perizia psichiatrica, oltre a valutare lo stato mentale dell’imputato, potrebbe gettare luce sulla reale portata della sua presunta amnesia e sulla sua capacità di ricostruire gli eventi della tragica mattinata, contribuendo a fare emergere la verità dietro il muro di silenzi e negazioni.
L’indagine dovrà ora concentrarsi sulla verifica della coerenza della versione fornita da Muslija, ricostruendo il contesto relazionale e le dinamiche di coppia, e analizzando le testimonianze di persone vicine alla coppia.







