Un decennio costellato di rinvii, un intreccio di contratti a termine che hanno segnato l’esperienza lavorativa di una donna, sfociato in una sentenza di condanna che solleva interrogativi profondi sulle pratiche aziendali e sull’applicazione del diritto del lavoro. Il Tribunale del Lavoro di Pesaro e la Corte d’appello di Ancona hanno accolto le ragioni della lavoratrice, una 43enne impiegata in un’azienda metalmeccanica della provincia di Pesaro Urbino, stabilendo l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato e l’erogazione di un risarcimento economico pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione percepita.La vicenda, che ha visto l’assistenza legale fornita dalla Uil Marche, evidenzia una prassi aziendale caratterizzata da un’eccessiva frequenza di contratti a termine: trentacinque contratti in soli cinque anni, un dato che suggerisce una strategia di gestione del personale più che un’effettiva necessità legata alla flessibilità del mercato. “Assistiamo, purtroppo, a casi in cui la figura del lavoratore viene ridotta a una risorsa facilmente sostituibile, quasi in una logica di moderno sfruttamento,” commenta Paolo Rossini, segretario generale della Uilm di Pesaro Urbino, sottolineando una tendenza preoccupante che erode il diritto al lavoro stabile e dignitoso.La sentenza non si limita a stabilire l’obbligo di regolarizzazione della posizione lavorativa della donna, ma impone anche il pagamento delle spese legali sostenute in entrambi i gradi di giudizio, un ulteriore onere economico per l’azienda.I giudici, con la loro decisione, hanno messo in discussione le giustificazioni addotte dalla società, che invocava fluttuazioni nella domanda di lavoro come motivazione per il ricorso sistematico ai contratti a termine. Tali argomentazioni non sono state ritenute sufficienti a giustificare un simile livello di precarietà, soprattutto alla luce della direttiva europea volta a limitare l’uso eccessivo di contratti a termine e a promuovere forme di lavoro più stabili. L’avvocato Alessandra Khadem, legale della Uil Marche, specifica che i cosiddetti “contratti di prossimità”, su cui si basava la successione di assunzioni a termine, sono stati dichiarati nulli per violazione della normativa europea in materia di precariato. Questa vittoria processuale, come conclude Claudia Mazzucchelli, segretaria generale della Uil Marche, sottolinea la cruciale importanza di garantire supporto e tutela ai lavoratori, affinché i loro diritti possano concretamente realizzarsi e non rimanere relegati a mere promesse. Il caso, al di là della specifica vicenda, pone l’attenzione su una problematica più ampia: la necessità di un controllo più rigoroso sull’applicazione delle normative in materia di lavoro e la promozione di una cultura aziendale che valorizzi la stabilità e la dignità del lavoro umano, in linea con i principi fondamentali del diritto europeo e dei diritti sociali.