Un’ombra grave si addensa sulla comunità ecclesiale di Sant’Angelo in Vado, in provincia di Pesaro e Urbino, con l’avvio delle procedure giudiziarie nei confronti di un sacerdote, residente in Svizzera e originario del luogo.
La Procura della Repubblica di Urbino, al termine di un’approfondita indagine, ha richiesto il rinvio a giudizio del religioso, sessantacinque anni, accusato di violenze sessuali continuate e aggravate dalla giovane età della vittima e dall’abuso di una posizione di fiducia all’interno del contesto familiare.
Il caso, che affonda le sue radici in dinamiche occorse circa quattro anni fa, ha preso avvio da una dolorosa segnalazione pervenuta allo Sportello di ascolto diocesano di Urbino, un organismo deputato alla gestione di casi di abusi su minori.
La delicatezza della denuncia ha immediatamente innescato un percorso di indagine *praevia*, condotto dalla Curia, che ha portato alla sospensione cautelativa del parroco coinvolto.
La trasmissione successiva all’autorità giudiziaria ha dato il via a un’inchiesta delegata e diretta dalla Procura di Urbino, coadiuvata da un team di specialisti della squadra mobile di Pesaro e della polizia giudiziaria di Urbino, il cui lavoro ha permesso di ricostruire un quadro di comportamenti lesivi e ripetuti nel tempo.
L’episodio solleva interrogativi profondi non solo in termini di responsabilità penale individuale, ma anche rispetto ai meccanismi di prevenzione e segnalazione all’interno di istituzioni che dovrebbero incarnare valori di protezione e cura, soprattutto nei confronti dei soggetti più vulnerabili.
La giovane età della vittima amplifica la gravità delle accuse, sottolineando la violazione di un patto di fiducia e l’abuso di una relazione che, per sua natura, avrebbe dovuto essere improntata al rispetto e alla salvaguardia.
Il caso di Sant’Angelo in Vado si inserisce in un contesto più ampio di crescente attenzione verso le dinamiche di abuso all’interno di ambienti religiosi e istituzionali, e riflette la necessità di rafforzare i sistemi di controllo, promuovere la trasparenza e garantire il diritto alla giustizia per le vittime, incoraggiandole a rompere il silenzio e a denunciare le proprie esperienze, al fine di tutelare la dignità umana e ricostruire un tessuto sociale basato sulla fiducia reciproca e sulla responsabilità condivisa.
La vicenda, oltre alla dimensione legale, pone un’urgente riflessione etica e pastorale per la Chiesa, esortandola a intraprendere un cammino di profonda revisione e rinnovamento.







