A Serripola, pittoresca frazione incastonata nel cuore delle Marche, a San Severino, si dipana una storia di umana compassione e resilienza che trascende confini religiosi e ideologici.
Tra le tenebre della guerra e le persecuzioni nazifasciste che dilagavano nell’Italia del 1943-44, la comunità locale offrì un rifugio cruciale alla famiglia del dottor Mosè Di Segni, stimato medico e partigiano decorato con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
L’accoglienza, sollecitata e gestita con discrezione dal parroco del luogo, si configurò come un atto di coraggio silenzioso, un baluardo contro l’odio e l’intolleranza.
In quel periodo, il giovane Edoardo Menichelli, futuro cardinale, era un bambino come tanti, ignaro della gravità della situazione che si stava vivendo.
Le sue giornate si intrecciarono con quelle dei figli di Mosè Di Segni, Elio e Frida, in giochi spensierati e reciproche scoperte infantili.
“Ricordo Edoardo come uno dei miei compagni di gioco a Serripola,” ha raccontato Elio Di Segni, “un bambino con cui si condividevano risate e avventure, senza interrogarsi sulle sue origini o sulla sua identità.
C’era un codice non scritto: si giocava insieme, si condivideva l’innocenza, ma non si ponevano domande che avrebbero potuto incrinare quella fragile normalità.
“La famiglia Di Segni era costretta alla fuga per sfuggire alla deportazione, e il loro rifugio a Serripola rappresentava non solo un riparo fisico, ma anche un’ancora di speranza in un momento di profondo smarrimento.
Il terzo figlio, Riccardo, non era ancora nato, ma oggi ricopre la carica di rabbino capo della comunità ebraica di Roma, portando con sé l’eredità di un gesto di solidarietà che ha segnato la sua famiglia.
L’atto di riconoscimento ufficiale avvenne nel 2011, quando San Severino Marche conferì la cittadinanza onoraria ai tre fratelli Di Segni.
In quell’occasione, il cardinale Menichelli, ormai figura di spicco nella Chiesa Cattolica, ebbe l’emozione di riabbracciare i suoi compagni d’infanzia, un gesto che simboleggiava un legame profondo e duraturo.
La storia di Serripola, lungi dall’essere un semplice aneddoto, incarna un potente messaggio di dialogo interreligioso e di accoglienza.
Essa testimonia come la compassione umana possa superare le barriere ideologiche e religiose, e come il coraggio di una comunità possa fare la differenza nel proteggere coloro che sono perseguitati.
Rappresenta un esempio luminoso di come la memoria storica possa essere un motore di riconciliazione e di costruzione di un futuro più giusto e inclusivo, dove l’umanità prevalga sull’odio e l’intolleranza.
Il legame tra il cardinale e il rabbino capo, nato da un’infanzia condivisa in un rifugio sicuro, è una potente testimonianza di questa eredità di solidarietà e speranza.