Un’organizzazione criminale transnazionale, radicata tra Cupramontana e Cingoli nelle Marche, è finita sotto accusa per aver orchestrato un sistema di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo che ha coinvolto decine di connazionali pachistani.
Il processo, avviato a seguito di un’inchiesta pluriennale, solleva interrogativi profondi sulle dinamiche del mercato del lavoro agricolo, sui meccanismi di vulnerabilità dei migranti e sulle responsabilità di un sistema che permette l’insorgere di tali abusi.
Gli imputati, cinque uomini tra i 28 e i 46 anni, rispondono di aver gestito una rete complessa che, tra il 2021 e il 2023, ha attinto a una risorsa umana fragile e disperata.
L’organizzazione non si è limitata a reclutare manodopera, ma ha costruito un vero e proprio sistema di controllo e dipendenza.
L’infiltrazione nei centri di accoglienza per richiedenti asilo, se confermata, evidenzia una drammatica convergenza di problematiche sociali, dove la ricerca di protezione si trasforma in una trappola di sfruttamento.
Le accuse contestate rivelano una spietata logica economica: salari irrisori, oscillanti tra i 5 e i 6 euro l’ora, per turni estenuanti di 12 ore al giorno, in violazione flagrante delle normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Questo misero compenso, pur apparendo marginale, è stato aggravato da ulteriori estorsioni: 150 euro mensili da versare per alloggi inadeguati, privi di condizioni igieniche minimamente accettabili, contribuendo a un ciclo di povertà e debito insostenibile per le vittime.
La struttura dell’organizzazione criminale si rivela gerarchica e specializzata.
Non si tratta di un’improvvisazione, ma di un’attività pianificata e organizzata, con ruoli ben definiti: un leader, presunto titolare di una ditta agricola, figura centrale nella gestione del reclutamento e dell’assegnazione dei lavoratori; un suo braccio destro, responsabile della pianificazione dei turni; e ulteriori tre individui dedicati ai trasporti e al controllo assiduo dell’attività lavorativa.
L’ampiezza dell’inchiesta suggerisce un’operazione di vasta portata, con un tentativo di monopolizzare il mercato del lavoro agricolo nelle province di Ancona, Macerata e Pesaro Urbino.
La scoperta dello sfruttamento è stata resa possibile grazie all’operato dei carabinieri dell’ispettorato del lavoro, che hanno utilizzato tecniche investigative sofisticate, come l’installazione di microspie sui veicoli utilizzati dai “caporali”, permettendo di ricostruire orari, percorsi e dinamiche dell’organizzazione.
Il processo solleva questioni cruciali: la necessità di rafforzare i controlli sul mercato del lavoro agricolo, la protezione dei diritti dei lavoratori migranti, e la responsabilità delle istituzioni nel prevenire e contrastare fenomeni di sfruttamento che si insinuano in settori economici particolarmente vulnerabili.
La difesa degli imputati, attraverso i legali Maria Alessandra Tatò e Federica Guarrella, nega le accuse.
Il verdetto rappresenterà un momento cruciale per accertare la verità e per garantire giustizia alle vittime di questo gravissimo crimine.