L’Italiana in Algeri, al Rossini Opera Festival di Pesaro, si rivela quest’anno un’esplosione di teatralità inaudita, una riflessione sulla fluidità dell’identità e il potere sovversivo della performance.
La visione registica di Rosetta Cucchi, audace e innovativa, abbandona le consolidate rappresentazioni orientaleggianti per immergersi in un’estetica che fonde l’opulenza kitsch di Las Vegas con la vibrante energia del pop contemporaneo.
Lungi dall’essere un mero espediente scenico, questa scelta stilistica si configura come un commento acuto sulla natura stessa della rappresentazione, un palcoscenico dove i confini tra realtà e finzione si dissolvono.
Al centro di questa rilettura, una drag queen, figura emblematica del travestimento e della decostruzione dell’identità, incarna lo spirito ribelle dell’opera.
La scelta di Cucchi non è casuale: la drag queen è l’apice di un gioco di ruoli che permea l’intera narrazione, una quintessenza del capovolgimento di genere che Rossini stesso celebrava.
L’opera, con il suo libretto di Angelo Anelli, racconta la storia di Isabella, una giovane italiana rapita dal Bey Mustafà, una figura autoritaria il cui potere si sgretola sotto la sua arguzia e il suo ingegno.
Isabella, passando dall’essere vittima a carnefice, non si limita a sconfiggere il suo oppressore, ma incita anche la frustrata Elvira, la moglie del Bey, a ribellarsi alla sua stessa condizione di sudditanza amorosa.
La sua astuzia, un’arma di liberazione, mette in moto un ciclone di eventi che sconvolge le abitudini consolidate del palazzo e mette in discussione le gerarchie di potere.
Il piano di Mustafà di maritare Elvira con lo schiavo italiano Lindoro, sperando di liberarsi di entrambi, si rivela un’illusione, un’ulteriore conferma della sua incapacità di controllare il destino degli altri.
L’amore tra Lindoro e Isabella, ostacolato dalle circostanze, diviene il motore di un’azione complessa, un piano di evasione che coinvolge tutti gli schiavi italiani prigionieri.
Il titolo di Pappataci, con l’impegno al silenzio e alla sottomissione, diventa un simbolo ironico dell’umiliazione e del potere, una maschera che nasconde la verità dietro un’apparenza di controllo.
La sua accettazione del titolo, culminando con la fuga degli schiavi e il successivo riparo tra le braccia di Elvira, rappresenta un momento di catarsi, un punto di svolta in un percorso di redenzione.
La regia di Cucchi, arricchita dalla partecipazione di drag queen professioniste, trascende la semplice recitazione, trasformando il palcoscenico in un laboratorio di creatività e sovversione.
Il ribaltamento dei generi, qui, non è solo un espediente scenico, ma uno strumento di disobbedienza, un atto di liberazione che risuona profondamente nel contesto storico attuale.
La musica di Rossini, con le sue intricate trame e i suoi contrasti sorprendenti, trova in questo allestimento una nuova e sorprendente risonanza, evocando immagini futuristiche e onomatopeiche che amplificano l’impatto emotivo dell’opera.
Il cast, guidato da Daniela Barcellona (Isabella), Josh Lovell (Lindoro), Giorgi Manoshvili (Mustafà) e altri interpreti di grande talento, offre una performance vibrante e coinvolgente, arricchita dalla direzione del maestro Dmitry Korchak e dall’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna.
Un evento inedito attende il pubblico: la compagnia, in un gesto di rottura con la tradizionale formalità, incontrerà gli spettatori nella piazza antistante il Teatro Rossini prima dello spettacolo, creando un momento di condivisione e improvvisazione che promette di lasciare un segno indelebile nella memoria di tutti.
Questo allestimento dell’Italiana in Algeri non è solo una rappresentazione teatrale, ma un’esperienza immersiva che invita a riflettere sulla natura dell’identità, il potere della performance e la forza liberatoria dell’arte.