Osvaldo, un giovane in bilico tra l’ironia e l’inquietudine, si imbarca in un percorso di scoperta interiore, un’esplorazione non convenzionale del proprio io.
Il suo viaggio, narrato in forma di monologo a firma di Daniele Vagnozzi, prodotto da Marche Teatro, non si affida ai manuali accademici o alle terapie tradizionali, ma si nutre dell’inatteso confronto tra due figure contrastanti: il Dr.
Onesto, terapeuta televisivo dal linguaggio diretto e popolare, e il Professor Tranquillo, luminare universitario custode di un sapere più complesso e formale.
Lo spettacolo, in scena al Ridotto delle Muse di Ancona il 28 novembre (ore 19) con repliche il 29 e 30 novembre, si propone di decostruire l’immagine del bisogno d’aiuto, troppo spesso avvolto in un alone di debolezza o vergogna.
Osvaldo, attraverso le sue riflessioni e le sue interazioni con questi due improbabili guide, si interroga sul significato della vulnerabilità, sulla difficoltà di aprirsi al prossimo e sulla necessità di riconoscere i propri limiti.
La contrapposizione tra l’immediatezza del terapeuta televisivo e la profondità del professore accademico non è una semplice dicotomia tra superficialità e erudizione, ma un’indagine sulla pluralità degli approcci alla sofferenza umana.
Il Dr.
Onesto, con il suo linguaggio accessibile e le sue soluzioni apparentemente rapide, rappresenta la seduzione di una risposta immediata, la ricerca di un rimedio facile ai drammi esistenziali.
Il Professor Tranquillo, invece, incarna la lentezza del pensiero, la complessità dell’analisi, la consapevolezza che la guarigione è un processo lungo e tortuoso.
Il monologo di Vagnozzi, intitolato “Tutti bene ma non benissimo,” non offre risposte definitive, ma stimola la riflessione.
Esplora il concetto di interdipendenza, evidenziando come l’individuo, per quanto possa sforzarsi di essere autosufficiente, sia inevitabilmente legato agli altri.
La salvezza, in questa visione, non è un atto solitario, ma un percorso condiviso, un riconoscimento della comune fragilità umana.
Si tratta di comprendere che chiedere aiuto non è un segno di fallimento, ma un atto di coraggio, un passo necessario verso la crescita personale e la costruzione di relazioni più autentiche e significative.
Lo spettacolo, in definitiva, è un invito a disarmare le maschere, a riconoscere le proprie ferite e ad aprirsi alla possibilità di un aiuto reciproco, perché nessuno, realmente, può navigare in solitaria nell’oceano dell’esistenza.







