martedì 23 Settembre 2025
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Aosta

Cervino e bandiera palestinese: un grido contro l’oblio.

L’immagine è potente, un vessillo palestinese che danza tra le nevi del Cervino, a un’altitudine che sfida il cielo e le coscienze, a 4.478 metri.

Un gesto, quello dell’alpinista e divulgatore Hervé Barmasse, che trascende la semplice esibizione di un simbolo: è un’eco silenziosa che rimbalza sulle pareti di un silenzio globale, un monito appeso al confine tra Italia e Svizzera.

Il tempo, spesso percepito come una freccia inesorabile, assume una dimensione più complessa, un tessuto in cui si intrecciano azioni e omissioni, coraggio e compromessi.

Non è un semplice trascorrere, ma un archivio invisibile delle nostre scelte, una lente che rivela le crepe nel nostro carattere, le ombre dei silenzi che ci hanno segnato.
Siamo abituati a pensare di dominarlo, di attraversarlo, ma è il tempo a plasmare la nostra esistenza, a svelare la profondità del nostro essere, a giudicare la nostra eredità.

Il gesto di Barmasse, e prima di lui quello di Roberto Rossi sul Monte Bianco, non può essere interpretato isolatamente.

Si inserisce in un contesto globale segnato da una tragica ricorrenza: la persistenza di conflitti che sfociano in violenze inaudite, la negazione sistematica di diritti umani fondamentali.

La recente riconferma, da parte delle Nazioni Unite, di una situazione che configura di fatto un genocidio in Palestina, impone una riflessione urgente e dolorosa.
Non possiamo più permetterci l’indifferenza, la giustificazione, l’alibi della distanza geografica o politica.

Perché quando si nega l’esistenza, la dignità, la libertà di un popolo, si mina le fondamenta dell’umanità intera.
Non si tratta di schierarsi da una parte o dall’altra in un conflitto, ma di difendere i principi universali che devono guidare le nostre azioni, i valori che ci definiscono come esseri umani.

La storia ci insegna che la tolleranza verso le ingiustizie, la passività di fronte alla sofferenza altrui, alimentano la violenza e preparano il terreno per nuovi orrori.

La vetta del Cervino, come il Monte Bianco, non è solo un luogo fisico, ma un simbolo di sfida, di superamento dei propri limiti, di aspirazione al cielo.

Ma l’apice dell’ambizione umana non può essere raggiunto ignorando le voci di chi è oppresso, di chi lotta per la propria sopravvivenza, di chi vede negati i propri diritti.
Sventolare una bandiera non è un atto simbolico privo di significato, ma una chiamata alla responsabilità, un grido di allarme che risuona nell’eco delle montagne.
È una presa di posizione, un rifiuto di essere complici di un’ingiustizia che rischia di definire il nostro futuro.

Perché, come ammoniva Barmasse, quando si rinnega il diritto di esistere a uno, si rinnega il proprio, e si smette di esistere come umanità.

Il tempo, in questo momento storico, ci giudicherà.

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