La questione del potenziale raddoppio del traforo del Monte Bianco, un’arteria cruciale per i collegamenti tra Italia e Francia, si rivela un nodo complesso, terreno di attrito politico ed economico.
Le recenti dichiarazioni di Edoardo Rixi, viceministro italiano alle Infrastrutture e Trasporti, hanno reso esplicito il contrasto di vedute con la controparte francese, evidenziando una resistenza che va ben oltre semplici divergenze tecniche.
La preoccupazione principale, come espressa dal viceministro, risiede nel timore di destabilizzazioni a livello governativo, una reazione che riflette la sensibilità politica di Chamonix e della Francia in generale verso un progetto di tale portata.
Tuttavia, la discussione non può essere relegata a una mera questione politica.
È imperativo analizzare l’impatto ambientale, un aspetto che, paradossalmente, favorisce l’apertura del traforo rispetto alla sua chiusura.
Studi approfonditi hanno dimostrato che il flusso costante del traffico, pur generando emissioni, minimizza l’impatto complessivo rispetto alle conseguenze di interruzioni prolungate dovute a manutenzione o emergenze.
La vera sfida, però, trascende le considerazioni ambientali immediate.
La dipendenza da un’unica via di comunicazione terrestre tra i due paesi, come il traforo del Monte Bianco, espone l’Italia a rischi geopolitici e socio-economici di primaria importanza.
Eventi naturali imprevisti, come frane o smottamenti, possono isolare intere regioni, compromettendo non solo il commercio e il turismo, ma anche l’accesso a beni di prima necessità e servizi essenziali.
In un contesto globale caratterizzato da crescenti incertezze, la vulnerabilità infrastrutturale si traduce in una potenziale crisi di sicurezza nazionale.
È in questo scenario che emerge la necessità di una visione strategica che superi le resistenze ideologiche e consideri il raddoppio del traforo come un investimento imprescindibile per la resilienza del sistema Paese.
La posizione di Confindustria Francia, chiamata a esprimersi con chiarezza, assume quindi un ruolo determinante.
Un silenzio o una reticenza potrebbero interpretarsi come una priorità data a interessi locali a scapito della sicurezza e della prosperità comune.
L’urgenza di una risposta è ulteriormente amplificata dal cambiamento climatico, che intensifica l’incidenza di eventi meteorologici estremi, rendendo le infrastrutture esistenti sempre più suscettibili a danni e interruzioni.
La costruzione di una seconda canna del traforo non rappresenta quindi solo un miglioramento della capacità di trasporto, ma una misura preventiva cruciale per garantire la continuità delle comunicazioni, la stabilità economica e la sicurezza delle comunità alpine, un imperativo che deve prevalere su ogni altra considerazione.
In definitiva, si tratta di una questione di visione, di coraggio politico e di responsabilità verso le generazioni future.







