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Carrère e il Premio Grand Continent: riflessioni inquietanti sull’AI e il futuro.

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L’assegnazione del Prix Grand Continent a Emmanuel Carrère per il suo ultimo libro autobiografico, “Kolkhoze”, si è configurata come un evento carico di significato, celebrato in un contesto suggestivo come i piedi del Cervino, a quasi quattro mila metri di altitudine.

La scelta della location, simbolicamente vertiginosa, sembra voler sottolineare la portata delle riflessioni affrontate dallo scrittore francese, che emergono con urgenza dalla pagina del suo libro.
In un discorso che ha trascendentato la semplice accettazione del premio, Carrère ha dipinto un quadro inquietante del presente, un’epoca segnata da sfide globali di proporzioni inedite.
Lungi dall’offrire soluzioni facili, l’autore ha acceso un faro sulle nuove fonti di angoscia che gravano sull’umanità, interrogandosi sui limiti della nostra comprensione e sulla nostra capacità di orientamento.
Al centro del suo discorso, l’intelligenza artificiale si è presentata come una forza ambivalente, capace di promettere progressi inimmaginabili ma anche di minacciare l’essenza stessa del lavoro umano e, forse, la nostra autonomia decisionale.
Non si tratta solo di preoccupazioni legate alla disoccupazione tecnologica, ma di una più profonda riflessione sull’erosione del senso del controllo, sull’opacità dei processi decisionali che guidano la nostra società.

L’AI, nella sua inarrestabile evoluzione, si configura come un territorio inesplorato, un abisso che ci attira e ci respinge al contempo.

A questa problematica si aggiungono le emergenze ambientali, non più considerate semplici criticità gestibili, ma manifestazioni tangibili di un collasso ecologico ormai inarrestabile.

La crisi migratoria, conseguenza diretta di queste trasformazioni geopolitiche e ambientali, testimonia la fragilità dei confini e la complessità delle relazioni internazionali.
E, forse più allarmante, si profila la corrosione dei pilastri democratici, l’erosione dei valori che hanno plasmato le società occidentali, lasciando presagire un futuro incerto e potenzialmente pericoloso.

Carrère, consapevole della gravità della situazione, si è definito uno scrutatore, un testimone chiamato a dare forma, attraverso la scrittura, alla confusione e all’angoscia del nostro tempo.
La sua missione, più che fornire risposte definitive, è quella di stimolare la riflessione, di aprire spiragli di consapevolezza.
Egli confessa una profonda fiducia nella potenza della narrazione, ritenendola superiore alla mera argomentazione, capace di toccare corde più profonde nell’animo umano e di generare un’empatia cruciale per affrontare le sfide che ci attendono.
La sua scrittura si configura come un atto di resistenza, un tentativo disperato di comprendere un mondo in rapido e inquietante cambiamento, un impegno a non arrendersi alla rassegnazione e a cercare, anche nell’oscurità, un barlume di speranza.

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