La libertà di movimento, sancita dall’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – il diritto di scegliere la propria dimora, di lasciare e ritornare nel proprio Paese – rischia di dissolversi in una retorica vuota, come una saponetta sciolta sotto l’acqua.
Questa disillusione permea l’opera di Taysir Batniji, artista palestinese della diaspora, protagonista della mostra “Abitare il tempo”, inaugurata a Modena presso la Palazzina dei Giardini Ducali.
L’esposizione, curata da Daniele De Luigi e promossa dalla Fondazione Ago, è una retrospettiva illuminante che esplora il tema dell’esilio e della memoria attraverso un linguaggio visivo potente e toccante.
Batniji, originario di Gaza e residente in Francia, vive l’esperienza dell’esilio in maniera profondamente personale, intrecciando il racconto della sua storia familiare con le vicende più ampie del conflitto israelo-palestinese.
La mostra non è solo un documento storico, ma una riflessione intima sulla perdita, la speranza e la resilienza.
Il titolo stesso, “Abitare il tempo”, suggerisce l’impossibilità di possedere uno spazio fisico, un luogo di appartenenza, e la conseguente necessità di ancorarsi al flusso inesorabile del tempo, cercando un significato nell’attesa.
Le opere presentate sono un affresco di metafore potenti.
Un mazzo di chiavi in vetro, fragili e trasparenti, evoca la casa perduta a Gaza, un luogo che esiste solo nella memoria, cancellato dalle distruzioni.
La clessidra immobile, la sabbia cristallizzata, è un’immagine lapidaria dell’attesa sospesa, di un futuro incerto.
L’artista utilizza la fotografia come strumento privilegiato, creando un archivio visivo di case abbandonate, luoghi di ricordi e di profumi, accompagnate da didascalie che ne rivelano la storia e le vite che vi hanno abitato.
Immagini di macerie, presentate con l’estetica degli annunci immobiliari, creano un effetto straniante, un cortocircuito tra la tragedia e la normalità, denunciando la mercificazione della sofferenza.
Un recente dipinto, dai colori sfocati e malinconici, raffigura la popolazione sradata, un’eco visiva delle notizie che riempiono i telegiornali, ma filtrata attraverso la sensibilità e la visione dell’artista.
La mostra non si limita a denunciare le violazioni dei diritti umani e le conseguenze devastanti del conflitto.
È una riflessione sulla condizione umana, sull’importanza della memoria collettiva e sulla necessità di coltivare la speranza, anche nei momenti più bui.
Batniji, pur rimanendo profondamente legato alla sua identità palestinese, aspira a creare un’arte universale, capace di toccare le corde emotive di ogni spettatore, invitandolo a riflettere sul significato dell’appartenenza, della perdita e della resilienza.
“Abitare il tempo” è un’esperienza profondamente commovente e stimolante, un invito a non dimenticare e a continuare a lottare per un futuro di pace e giustizia.








