Ada, una donna di quarantaquattro anni residente in Campania, ha ottenuto una decisione cruciale che le permette di esercitare il suo diritto al fine vita.
La sua vicenda, profondamente segnata dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), una malattia neurodegenerativa progressiva e devastante, rappresenta un punto di svolta nel panorama dei diritti individuali e dell’accesso alla cura palliativa in Italia.
La SLA, caratterizzata dalla progressiva perdita del controllo dei movimenti volontari e da una crescente difficoltà respiratoria, ha progressivamente reso la vita di Ada sempre più gravosa, nonostante i trattamenti terapeutici disponibili.
Il dolore fisico, la perdita di autonomia, l’isolamento sociale e la progressiva perdita di dignità rappresentano un peso insopportabile per chiunque, e per Ada, la cui sofferenza si è intensificata a partire da giugno 2020, sono diventati una prigione.
La decisione dell’Asl, dopo un precedente diniego, testimonia l’evoluzione dell’interpretazione delle disposizioni costituzionali in materia di fine vita, come chiaramente delineate dalla Corte Costituzionale.
Quest’ultima, in precedenti sentenze, ha riconosciuto il diritto del paziente affetto da patologie irreversibili, intrattabili e fonte di sofferenze insopportabili, di ricevere assistenza medica per accorciare la propria esistenza.
Questo diritto, tuttavia, è strettamente legato alla verifica di specifici requisiti, tra cui la capacità di intendere e di volere, la consapevolezza della propria condizione e la richiesta libera e informata, formulata in modo reiterato.
La vicenda di Ada solleva interrogativi profondi sulla natura della dignità umana, sul ruolo della medicina e sullo stato di assistenza e cura offerto al paziente terminale.
Non si tratta semplicemente di “aiutare a morire”, ma di garantire la possibilità di scegliere, in condizioni di sofferenza insopportabile, come e quando interrompere un percorso di vita che è ormai privo di speranza e segnato da una qualità di vita drasticamente compromessa.
Questa decisione, pur essendo un passo avanti verso il riconoscimento di diritti fondamentali, sottolinea anche la necessità di un dibattito pubblico più ampio e informato sulla legislazione del fine vita, che tenga conto non solo degli aspetti legali, ma anche di quelli etici, filosofici e religiosi.
La vicenda di Ada è un monito per tutti noi: una chiamata alla compassione, alla solidarietà e alla ricerca di soluzioni che consentano a ciascuno di affrontare la propria esistenza, fino al suo termine, con dignità e rispetto.
E’ un invito a ripensare il ruolo della medicina, non come semplice strumento di cura, ma come accompagnatore nel percorso di vita, anche quando questo giunge al suo inevitabile epilogo.