Nell’atmosfera solenne di clausura, l’arcivescovo Renato Boccardo ha offerto ai detenuti di Spoleto una riflessione profonda e suggestiva, culminata nella celebrazione del Giubileo della Speranza nel penitenziario.
La liturgia, più che un semplice rito, si è configurata come un’occasione di incontro e di riflessione sul senso della redenzione e sulla possibilità di un futuro costruttivo.
L’arcivescovo ha scelto di inquadrare le vite dei detenuti attraverso una metafora potente: il terremoto.
Non un evento casuale e distruttivo, bensì un’esperienza trasformativa, un catalizzatore di cambiamento.
Come il sisma ha lasciato dietro di sé macerie apparentemente insormontabili, così le scelte passate e le difficoltà affrontate hanno lasciato ferite profonde nell’animo dei reclusi.
Tuttavia, Boccardo ha sottolineato con forza che le macerie non rappresentano una fine, bensì un punto di partenza.
Come il territorio umbro, duramente provato nel 2016, sta riscoprendo la sua bellezza ricostruendo edifici storici come la Basilica di San Benedetto e il rosone della chiesa di San Eutizio, recuperando frammenti di un passato perduto, così anche i detenuti possono attingere a quel materiale di sofferenza per edificare una nuova esistenza.
“Le macerie non avranno l’ultima parola,” ha affermato l’arcivescovo, invitando i presenti a guardare oltre il dolore e a riconoscere il potenziale di rinascita insito in ogni rottura.
Il perdono, la riconciliazione, la speranza: questi i pilastri su cui ricostruire, mattone dopo mattone, un futuro diverso.
L’arcivescovo ha poi affrontato direttamente la questione dell’identità, riconoscendo le ferite profonde che spesso accompagnano la condizione di recluso.
“La vostra identità è ferita e sanguina,” ha ammesso, offrendo un gesto di comprensione e di vicinanza.
Ma ha aggiunto un messaggio di incoraggiamento: “Sognare è possibile anche dentro questa casa.
” Un invito a coltivare la speranza, a nutrire i propri desideri, a immaginare un domani libero e pieno di significato.
Il momento di scambio di auguri con i detenuti in regime di 41 bis ha rappresentato un ulteriore segno di attenzione e di solidarietà, sottolineando l’importanza di mantenere vivo il dialogo e il contatto umano, anche nelle situazioni più difficili.
La direttrice del carcere, Bernardina Di Mario, ha ripreso il tema del dialogo, sottolineando che solo attraverso un confronto aperto e costruttivo tra tutte le persone che abitano quel luogo è possibile trovare nuove soluzioni ai problemi che si presentano e costruire un ambiente più umano e accogliente.
La speranza, dunque, non risiede solo nella possibilità di redenzione individuale, ma anche nella capacità di creare una comunità basata sul rispetto, la comprensione e la collaborazione.
Il Giubileo della Speranza si è concluso, ma il cammino verso la ricostruzione, interiore ed esteriore, è appena iniziato.






