Il caso Coima, e in particolare la vicenda che ha visto il CEO Manfredi Catella rilasciato dal Tribunale del Riesame, è nuovamente al centro dell’attenzione della Corte di Cassazione.
La Procura di Milano aveva presentato ricorso per annullare la decisione che ha concesso a Catella la libertà, ma il sostituto procuratore generale Cristina Marzagalli, nel suo parere scritto in vista dell’udienza del 12 novembre, si è schierata a favore del mantenimento della libertà dell’imputato.
Questo parere si inserisce nel contesto di sei impugnazioni complessive, tre presentate dai magistrati inquirenti e tre dalle difese, inclusa quella dell’ex assessore alla rigenerazione urbanistica Giancarlo Tancredi.
La società Coima, chiamata in causa, ha preferito astenersi da commenti.
Il fulcro del contrasto interpretativo ruota attorno al rapporto tra Manfredi Catella e Alessandro Scandurra, figura chiave in quanto ex membro della Commissione Paesaggio.
I pubblici ministeri avevano sostenuto l’esistenza di concorso in corruzione tra i due, ma il pg Marzagalli ha ritenuto che il Tribunale del Riesame abbia applicato correttamente la giurisprudenza in materia, sottolineando un principio cardine: per configurare il reato di corruzione, è imprescindibile dimostrare che l’atto contrario ai doveri d’ufficio sia stato la *causa determinante* per la concessione dell’utilità al pubblico ufficiale.
In altre parole, non è sufficiente accertare la mera esistenza di un pagamento o di un favore; occorre provare che quest’ultimo sia stato erogato *in cambio* di un atto illegittimo compiuto dall’imputato.
Il ragionamento della pg Marzagalli si basa sull’analisi delle prove emerse nel corso delle indagini.
Il Tribunale del Riesame, secondo il suo parere, ha valutato tali prove e ha concluso che non risulta provata la formazione di un accordo corruttivo tra Scandurra e Catella.
La questione chiave risiede nei pagamenti effettuati da Coima all’architetto.
La Procura aveva ipotizzato che tali pagamenti fossero frutto di un patto corruttivo, ma il Tribunale ha ritenuto che non fosse possibile escludere che essi fossero invece riferibili a prestazioni professionali effettivamente svolte da Scandurra e correttamente documentate.
Questo implica che, pur essendo stati accertati dei flussi finanziari tra la società e l’architetto, non si è riusciti a dimostrare che questi fossero il frutto di un accordo illecito, ma piuttosto di un rapporto professionale regolare.
La decisione della pg Marzagalli, di fatto, si pone come una riaffermazione del principio di presunzione di innocenza e della necessità di prove concrete e inequivocabili per sostenere un’accusa di corruzione.
Essa sottolinea l’importanza di distinguere tra una relazione professionale regolare, con i relativi compensi, e un accordo illecito finalizzato a ottenere vantaggi indebiti attraverso l’abuso di una posizione di potere.
Il caso Coima, pertanto, non solo solleva interrogativi sulla gestione dell’urbanistica e sulla sua trasparenza, ma anche sulla corretta applicazione delle norme processuali e sulla necessità di un’interpretazione rigorosa delle prove in ambito penale.








