L’operazione “Ipogeo”, condotta dalla Digos di Catania, ha portato alla custodia cautelare in carcere di tre individui e all’emissione di un mandato di arresto europeo, culminando in un’inchiesta che solleva interrogativi profondi sulla degenerazione delle proteste sociali e sui possibili legami tra violenza, ideologie radicali e organizzazione criminale.
Il Gip, nel suo provvedimento, descrive i destinatari delle misure restrittive come figure caratterizzate da una pericolosità sociale consolidata, con un percorso deviante strutturato e finalizzato a obiettivi illeciti, che hanno espresso la loro indole violenta e delinquenziale durante una manifestazione, trasformandola in un episodio di grave rischio per la sicurezza pubblica e per l’incolumità dei cittadini, inclusi i manifestanti pacifici.
Le accuse, supportate da un’approfondita analisi di materiale video acquisito dalla Digos, riguardano aggressioni dirette alle forze dell’ordine – con l’impiego di sassi, molotov, petardi e ordigni artigianali – e atti vandalici mirati a edifici pubblici e privati, culminati con la contestazione di slogan esplicitamente incitanti alla violenza contro le istituzioni e gli agenti di polizia.
Luigi Bertolani e Gabriele Venturi, entrambi identificati come figure apicali di movimenti anarco-insurrezionalisti operanti tra Catania e Bari, e il terzo individuo, attualmente ricercato all’estero, rappresentano, secondo le indagini, un nucleo organizzativo capace di pianificare e coordinare azioni violente.
Le perquisizioni domiciliari, estese a diverse città della regione e oltre, hanno coinvolto le Digos di Palermo, Bari, Brindisi, Messina e Siracusa, evidenziando la complessità della rete di relazioni e la possibile estensione geografica del fenomeno.
L’analisi dei video ha rivelato un comportamento deliberato e premeditato: gli indagati, si ritiene, si siano posizionati strategicamente in coda al corteo, adottando travestimenti – tute scure e cappucci – per eludere l’identificazione e preparare l’azione violenta.
La Procura ricostruisce un piano volto a concentrare l’attacco contro la casa circondariale, con un’escalation di violenza caratterizzata dal lancio di oggetti contundenti, esplosivi e l’uso di materiale incendiario, rivolti direttamente alle forze dell’ordine.
Il degrado della manifestazione non si è limitato all’attacco alle forze dell’ordine, ma ha esteso il suo impatto a infrastrutture e proprietà private, con atti vandalici che hanno causato danni ingenti a vetrine, marmi e strutture commerciali, suscitando paura e sgomento tra i passanti.
La gravità degli eventi solleva interrogativi cruciali sulla necessità di comprendere le dinamiche che portano alla radicalizzazione e alla trasformazione di proteste legittime in episodi di violenza gratuita e distruttiva, nonché sull’efficacia delle strategie di prevenzione e repressione in contesti sociali sempre più complessi e polarizzati.
L’inchiesta, pertanto, si configura non solo come un’azione giudiziaria, ma anche come un’opportunità per riflettere sulle fragilità del tessuto sociale e sulle responsabilità di tutti gli attori coinvolti nella gestione del dissenso e nella tutela dell’ordine pubblico.








