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martedì 11 Novembre 2025

Catanzaro, la moschea all’università: tra diritti, cultura e strumentalizzazioni.

La vicenda relativa alla presunta “smantellamento” di una moschea all’Università Magna Graecia di Catanzaro solleva questioni complesse che vanno ben oltre la semplice rimozione di una targa.

L’episodio, amplificato dai canali social della Lega, ha generato un acceso dibattito che evidenzia le delicate intersezioni tra libertà religiosa, espressione identitaria e gestione del patrimonio universitario.
Il Rettore Giovanni Cuda, nell’intento di stemperare le tensioni, ha precisato che non si è trattato di una demolizione, ma di una correzione della segnaletica.
La denominazione “moschea” applicata alla piccola area di culto ha infatti generato interpretazioni potenzialmente fuorvianti e distorsive.
È fondamentale comprendere che, nella tradizione islamica, il termine “masjid” (tradotto spesso con “moschea”) assume un significato più ampio rispetto alla definizione occidentale.

Esso indica genericamente ogni luogo adibito alla preghiera, anche uno spazio ridotto, una “musalla”, come appunto era il caso all’interno del campus universitario.

Questo elemento culturale, spesso sottovalutato, ha contribuito a creare un’incongruenza tra la denominazione ufficiale e la reale natura dell’area.
La decisione di rimuovere la targa, presa antecedentemente all’interrogazione parlamentare dell’onorevole Sasso, si inquadra nel rispetto dell’articolo 19 della Costituzione italiana, che garantisce la libertà di culto.

L’università, come istituzione laica, ha il dovere di assicurare a tutti i propri membri, indipendentemente dalla loro fede religiosa, la possibilità di esprimere la propria identità e praticare il proprio culto in un ambiente dignitoso e rispettoso.

La creazione di un’area dedicata alla preghiera, seppur modesta, ha rappresentato un atto di inclusione volto a soddisfare le esigenze di una significativa comunità di studenti e dipendenti musulmani.

Il Rettore ha espresso rammarico per le polemiche sorte, sottolineando come la libertà di opinione e di culto debba essere esercitata senza pressioni e in un clima di tolleranza.

Per illustrare la portata di tale tolleranza e la sua potenziale espressione, ha citato un esempio emblematico proveniente da Teheran, dove una fermata della metropolitana porta il nome della Vergine Maria, in prossimità di una chiesa armena.
Questo gesto, apparentemente inatteso, testimonia un’apertura interculturale che invita a una riflessione più ampia sulle dinamiche di convivenza religiosa e identitaria.
L’episodio catanzarese, al di là delle strumentalizzazioni mediatiche, offre l’opportunità di approfondire il tema della gestione della diversità religiosa in contesti pubblici come le università.
Richiede una maggiore consapevolezza delle specificità culturali e religiose, un dialogo costruttivo tra le diverse comunità e un impegno costante per promuovere la convivenza pacifica e il rispetto reciproco.
La rimozione della targa, in definitiva, si configura non come un atto di intolleranza, ma come un tentativo di chiarire una denominazione inappropriata e di tutelare il diritto alla libertà di culto, nel rispetto della laicità dell’istituzione universitaria.

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