## Oltre il Cronometro: Donne, Sport e la Resistenza al SilenzioLa Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne, celebrata il 25 novembre, ci invita a una riflessione urgente: come si intersecano l’emarginazione, la forza e la determinazione nel panorama sportivo femminile? Lungi dall’essere un semplice binomio, il rapporto tra donne e sport si rivela un complesso intreccio di conquiste, sfide e silenzi da infrangere.
Abbiamo dialogato con Mattia Malara, presidente dell’associazione sportiva Lapnea e attivo promotore di iniziative sociali rivolte alle scuole del Ciriacese, per sondare le dinamiche ancora attuali e per illuminare le ombre che persistono.
Il passato, seppur con le sue limitazioni, lascia intravedere un percorso di inesorabile evoluzione.
Oggi, le porte dello sport appaiono più aperte, offrendo alle atlete opportunità di eccellere in discipline che un tempo restavano loro precluse.
Questo progresso, tuttavia, non deve indurci in un’illusione di compiutezza.
Le storie che emergono dalle cronache sportive – storie di atlete emarginate per la gravidanza, vittime di abusi psicologici o fisici da parte di figure maschili di riferimento – testimoniano una realtà ben più complessa e dolorosa.
La difficoltà di affermarsi nel mondo dello sport non risiede più tanto nelle barriere fisiche o regolamentari, quanto nella persistenza di dinamiche culturali e sociali che tendono a sminuire, escludere o oggettivare le atlete.
La pressione per conformarsi a standard di bellezza irrealistici, la mancanza di modelli femminili di riferimento, la sottovalutazione delle loro capacità atletiche e la difficoltà a ottenere lo stesso riconoscimento economico e mediatico rispetto ai colleghi maschi sono solo alcune delle sfide che le donne devono affrontare.
La violenza, in tutte le sue forme, rappresenta una piaga che affligge lo sport.
Non si tratta solo di aggressioni fisiche, ma anche di abusi verbali, psicologici ed emotivi che minano l’autostima, la motivazione e la salute mentale delle atlete.
È fondamentale creare un ambiente sportivo sicuro e inclusivo, in cui le donne si sentano libere di denunciare le molestie e di chiedere aiuto senza timore di ritorsioni.
La condivisione di esperienze, l’educazione al rispetto e alla parità di genere e la sensibilizzazione di allenatori, dirigenti e tifosi sono passi essenziali per contrastare la cultura della violenza.
L’esperienza della maternità, tradizionalmente percepita come un ostacolo alla carriera sportiva, può essere invece vissuta come un momento di trasformazione e di crescita personale.
L’esempio di atlete che hanno continuato a praticare sport ad alto livello anche durante la gravidanza e subito dopo il parto dimostra che la maternità e lo sport non sono necessariamente incompatibili.
Tuttavia, è importante ascoltare il proprio corpo, adeguare l’allenamento alle proprie esigenze e non forzare i tempi.
La scelta di avere un figlio è una decisione profondamente personale, che non deve condizionare la propria realizzazione sportiva, ma che può anzi arricchirla di nuove prospettive.
Il percorso verso una reale parità di genere nello sport è ancora lungo e tortuoso.
Richiede un impegno collettivo, una profonda riflessione sui nostri pregiudizi e una volontà ferma di abbattere le barriere che ancora impediscono alle donne di esprimere appieno il proprio potenziale atletico.
È imperativo trasformare il silenzio in voce, la paura in coraggio e la sconfitta in opportunità di crescita.
Solo così potremo onorare la forza e la determinazione di tutte le donne che hanno combattuto e continuano a combattere per un futuro più giusto e inclusivo nello sport e nella società.








