Le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti governativi, in particolare i ministri Salvini e Roccella, hanno acceso un acceso dibattito sulla delicatezza dei rapporti tra poteri dello Stato e sulla correttezza del linguaggio pubblico, soprattutto quando si tratta di commentare decisioni giudiziarie.
Le critiche mosse, espresse in un contesto di apparente mancanza di accesso alle motivazioni che hanno guidato la sentenza della Corte d’Appello nel caso noto come “famiglia nel bosco”, sollevano interrogativi profondi sul rispetto della separazione dei poteri e sulla necessità di un dialogo istituzionale costruttivo.
La decisione della Corte d’Appello, che ha confermato la sospensione della responsabilità genitoriale e disposto l’allontanamento dei minori in una comunità accogliente, ha riaperto una ferita nel dibattito pubblico.
La vicenda, di per sé complessa e carica di implicazioni emotive, rischia di essere strumentalizzata per fini politici, come suggerisce la giudice Virginia Scalera, presidente della sezione Abruzzo dell’Anm.
La sensazione è quella di una manovra volta a riaccendere l’attenzione mediatica e a orientare l’opinione pubblica in vista di futuri appuntamenti referendari, attraverso la riproposizione di una narrazione semplificata e potenzialmente distorta.
L’uso del linguaggio, a detta della giudice Scalera, è particolarmente preoccupante.
L’utilizzo di termini come “sequestro di bambini”, pur se comprensibile alla luce della sofferenza dei genitori, rischia di alimentare un’immagine distorta del sistema giudiziario, dipingendolo come un corpo estraneo e ostile ai diritti familiari.
Questa retorica, sebbene possa generare consenso in alcuni strati della popolazione, contribuisce a minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e a creare un clima di scontro e delegittimazione.
La vicenda “famiglia nel bosco” è, in definitiva, un caso emblematico delle sfide che attendono il sistema giudiziario italiano.
Da un lato, si richiede ai magistrati di prendere decisioni complesse, spesso in situazioni di estrema delicatezza e con pesanti implicazioni emotive.
Dall’altro, si assiste a tentativi di pressione e delegittimazione, che rischiano di compromettere l’autonomia e l’imparzialità della magistratura.
La separazione dei poteri, principio cardine della democrazia, deve essere difesa con fermezza, garantendo a ogni istituzione la possibilità di operare in piena autonomia e nel rispetto del proprio ruolo.
Il rispetto istituzionale, elemento imprescindibile per il corretto funzionamento dello Stato di diritto, deve prevalere su logiche di breve termine e su tentativi di strumentalizzazione della giustizia a fini politici.
La magistratura, garante della Costituzione, ha il dovere di resistere a tali pressioni e di proseguire nel proprio lavoro con rigore e indipendenza, nel superiore interesse della collettività.






