Nel cuore del processo milanese per truffa aggravata che coinvolge Chiara Ferragni, emergono elementi significativi dalle dichiarazioni spontanee rese in aula.
Un’ammissione di intenti, un’affermazione di onestà che tenta di delineare un quadro di buona fede e assenza di arricchimento personale, al centro di un’indagine che ha scosso il mondo del marketing digitale e dell’influencer marketing.Il procedimento, celebrato con la scelta del rito abbreviato e nell’ambito di una procedura a porte chiuse, ha visto Chiara Ferragni assumere una posizione apparentemente difensiva, nel tentativo di mitigare le accuse che le contestano.
La sua testimonianza, sebbene preliminare e in attesa di una contestualizzazione più ampia, introduce una nuova fase nel processo, una sorta di auto-giustificazione che prelude alla strategia difensiva che sarà esplicitata nella successiva udienza.
Parallelamente, la Procura, guidata dai pubblici ministeri, ha formulato richieste di condanna nei confronti di altri soggetti coinvolti.
Francesco Cannillo, presidente di Cerealitalia-ID, società partner in alcune iniziative promozionali, si trova ad affrontare una richiesta di pena pari a un anno di reclusione.
Fabio Damato, figura chiave nel passato di Chiara Ferragni e suo ex collaboratore, riceve una richiesta di condanna più severa, pari a un anno e otto mesi.
Queste richieste di pena delineano un quadro più complesso rispetto alla sola figura di Chiara Ferragni.
Il coinvolgimento di Cerealitalia-ID e la responsabilità attribuita a Damato sollevano interrogativi sulla struttura e le dinamiche operative del business dell’influencer, mettendo in luce possibili falle nei controlli interni e nelle relazioni commerciali.
L’inchiesta, nata da una denuncia di alcune famiglie di dipendenti, ha svelato una presunta manipolazione di contenuti promozionali legati a prodotti alimentari, in particolare panettoni e pandori.
L’accusa principale riguarda la creazione di una narrazione falsa, volta a far percepire i prodotti come realizzati artigianalmente e con ingredienti di alta qualità, quando in realtà la produzione sarebbe stata industriale e con standard diversi.
Il processo non riguarda solo la presunta truffa in sé, ma solleva anche questioni più ampie relative alla trasparenza e all’etica nell’influencer marketing. La figura dell’influencer, spesso percepita come un punto di riferimento autentico e affidabile per il pubblico, viene messa in discussione, alimentando un dibattito sulla necessità di regolamentare questo settore e garantire maggiore tutela per i consumatori.
La prossima udienza, con la presentazione formale della difesa di Chiara Ferragni, sarà cruciale per comprendere la strategia complessiva e le argomentazioni che verranno addotte a sua discolpa.
Il verdetto finale, in attesa di ulteriori sviluppi e prove, avrà ripercussioni significative non solo per le persone coinvolte, ma anche per l’intero ecosistema dell’influencer marketing, gettando luce sulla necessità di un’evoluzione verso un modello più trasparente e responsabile.




