Nel cuore pulsante della storia antica, l’atto solenne dell’accensione della fiamma olimpica ha trasceso la mera formalità, elevandosi a un ponte tra passato e presente.
Mary Mina, interprete carismatica della figura della Grande Sacerdotessa, ha adempiuto il suo ruolo con grazia e dignità, innescando la scintilla che darà vita al viaggio della fiamma attraverso il mondo.
La scelta del museo archeologico come cornice di questo momento cruciale non è stata casuale.
L’ambiente, custode silenzioso di secoli di storia, ha amplificato la suggestione dell’evento.
La presenza imponente della Nike di Peonio, scultura marmorea databile al IV secolo a.
C.
, ha aggiunto un’aura di sacralità e di trionfo all’atto.
La dea alata, simbolo di vittoria e di prosperità, sembrava benedire l’inizio dei Giochi.
L’imprevisto meteorologico, con le piogge persistenti che hanno reso impraticabile l’utilizzo dello specchio parabolico – dispositivo ingegneristico che, nella tradizione olimpica, concentra i raggi solari per accendere la fiamma – ha richiesto una soluzione alternativa.
Questo cambiamento, lungi dal sminuire la cerimonia, ha sottolineato l’adattabilità e la resilienza dello spirito olimpico.
La fiamma, precedentemente accesa con successo durante una prova preparatoria, aveva atteso pazientemente il momento del suo ingresso ufficiale, conservando la sua integrità e la sua promessa di pace e di competizione leale.
L’accensione, dunque, non è stata solo un atto simbolico, ma una testimonianza della profonda connessione tra i Giochi Olimpici e le radici culturali della Grecia.
È stata una celebrazione dell’ingegno umano, della perseveranza e della capacità di trovare bellezza e significato anche di fronte all’imprevisto.
La fiamma, ora pronta a intraprendere il suo percorso, incarna l’ideale olimpico di unità, di amicizia e di rispetto reciproco tra i popoli.









