L’azione delle cinquantuno velieri della Global Sumud Flotilla ha incarnato un atto di resilienza civica, un amplificatore per le voci silenziate, per coloro che sentivano frustrato il proprio diritto di espressione a livello globale.
La vicenda solleva interrogativi profondi sul precario equilibrio del diritto internazionale, messo a dura prova dall’inerzia di alcuni Stati di fronte a dinamiche geopolitiche complesse.
Nel contesto di questo dibattito, l’affermazione, proveniente da Bari dal senatore del Movimento 5 Stelle Marco Croatti, evidenzia una pericolosa tendenza a relativizzare i principi fondamentali che governano le relazioni tra nazioni, un’interpretazione flessibile che piega le norme a interessi contingenti.
L’esponente politico, ripercorrendo la sua esperienza a bordo, ha denunciato una visione distorta della sovranità nazionale, un’ideologia che, dietro la retorica del “prima gli italiani”, sacrifica i diritti umani e l’impegno nei confronti delle popolazioni vulnerabili.
La drammatica situazione di connazionali detenuti e successivamente abbandonati a sé stessi riflette un disinteresse che mina la credibilità dello Stato e la sua capacità di tutela verso i propri cittadini.
L’eventuale necessità di una tregua politica, sebbene comprensibile in termini di gestione della crisi, non può mai prescindere dalla considerazione delle esigenze e dei diritti della popolazione interessata.
Croatti ha descritto un percorso formativo intenso e impegnativo, una prova di resistenza fisica e mentale messa alla prova dalle avversità del mare.
L’iniziativa umanitaria, apparentemente innocua, si è scontrata con un’interpretazione restrittiva e arbitraria da parte delle autorità israeliane, che hanno etichettato come “crimine” il trasporto di beni di prima necessità, come miele, biscotti e latte in polvere, ritenuti “troppo energetici” per essere considerati aiuti umanitari.
Questa accusa, oltre a denunciare un’incomprensione delle reali necessità della popolazione, evidenzia un tentativo di delegittimazione dell’iniziativa e dei suoi promotori.
L’esperienza della Global Sumud Flotilla, dunque, non si limita a una semplice operazione di soccorso umanitario.
Essa rappresenta un atto di disobbedienza civile, un monito contro l’indifferenza e la complicità, un appello alla responsabilità globale e alla necessità di una maggiore coerenza nell’applicazione del diritto internazionale.
L’azione dei velieri, a dispetto delle difficoltà e delle accuse, ha contribuito a sollevare un dibattito cruciale sulla giustizia, la solidarietà e la difesa dei diritti umani, confermando il ruolo imprescindibile della società civile nella promozione di un mondo più equo e pacifico.
La loro testimonianza è un invito a non girarsi mai dall’altra parte, a non rinunciare alla speranza e a continuare a lottare per un futuro migliore.








