Mohammad Hannoun, architetto di origini palestinesi, ha fornito una deposizione spontanea, durata circa trenta minuti, al giudice per le indagini preliminari (GIP) Silvia Carpanini, durante l’interrogatorio di garanzia celebrato nel carcere di Marassi.
L’audizione, nel corso della quale l’uomo, assistito dai legali Emanuele Tambuscio e Fabio Sommovigo, ha esercitato il diritto di non rispondere alle domande formulate, ha offerto elementi che meritano un’analisi più approfondita, soprattutto in relazione alle accuse che lo vedono sospeso di essere parte integrante e sostenitore economico di Hamas.
Hannoun ha chiarito di aver intrapreso, fin dagli anni Novanta, un’attività di raccolta fondi a supporto di iniziative umanitarie dirette alla popolazione palestinese, estendendo il suo impegno a diverse aree geografiche, tra cui la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e i campi profughi.
La sua narrazione suggerisce un modello di assistenza mirata, focalizzato su progetti specifici e finalizzato a fornire un aiuto concreto a individui e comunità in difficoltà.
Le attività di raccolta fondi, come descritto, non appaiono legate a strutture partitiche o ideologiche, bensì a un impulso di solidarietà verso una popolazione segnata da decenni di conflitto e privazioni.
La sua testimonianza solleva interrogativi cruciali riguardo alla complessità delle relazioni tra assistenza umanitaria e finanziamenti a organizzazioni che potrebbero essere associate a gruppi politici o militari.
È fondamentale distinguere tra il sostegno a progetti di beneficenza, spesso imprescindibili in contesti di emergenza, e il contributo diretto o indiretto a organizzazioni considerate terroristiche.
L’architetto, con la sua attività di raccolta fondi, si è inserito in una rete di solidarietà transnazionale, spesso difficile da tracciare e da monitorare, dove la buona fede di chi offre aiuto può essere facilmente sfruttata da chi ha secondi fini.
La sua deposizione, sebbene spontanea, necessita di essere vagliata attentamente alla luce delle accuse mosse e delle complesse dinamiche geopolitiche che caratterizzano il conflitto israelo-palestinese.
L’indagine, ora, dovrà concentrarsi sull’effettiva destinazione dei fondi raccolti, verificando se siano stati impiegati esclusivamente per progetti umanitari o se abbiano finanziato, anche in modo indiretto, attività legate ad Hamas.
La distinzione tra assistenza umanitaria e finanziamento illecito rappresenta la chiave per comprendere la natura dell’attività svolta da Mohammad Hannoun e accertare la sua responsabilità in relazione alle accuse che lo riguardano.
La delicatezza del caso impone un’indagine approfondita e imparziale, in grado di tenere conto della complessità del contesto e di tutelare sia i diritti dell’imputato che la sicurezza nazionale.





