“Ida che cantava così male che i morti si sono rialzati per unirsi al suo canto”, l’opera prima di Ester Ivakič, cineasta slovena emergente, si presenta come un’opera di profondo impatto emotivo, un viaggio introspettivo nel cuore dell’infanzia e dell’adolescenza, capace di evocare la fragilità e la forza dell’animo umano.
Il film, presentato in anteprima a Trieste e in concorso al Torino Film Festival, dove debutterà il 23 novembre per la stampa e il 24 per il pubblico, si configura non solo come un esordio cinematografico, ma come una riflessione sulla memoria, sulla perdita e sulla resilienza.
Prodotto da Temporama con il supporto del Slovenski Filmski Center e in coproduzione con Rtv Slovenia, il lungometraggio immerge lo spettatore in un’atmosfera rarefatta, collocata in un tempo sospeso tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, un periodo storico cruciale segnato dalla progressiva disintegrazione della Jugoslavia.
La narrazione si sviluppa in un villaggio rurale della regione slovena del Prekmurje, un territorio ricco di storia e tradizioni, situato al confine con l’Ungheria.
Al centro della storia c’è Ida (interpretata dalla giovane Lana Marić), una bambina sullo scomponimento dell’infanzia e sulla transizione all’età adulta, un periodo di scoperta e di prime delusioni, segnato dalla perdita di affetti e dalla presa di coscienza della caducità dell’esistenza.
La regista, Ester Ivakič, attinge a piene mani dall’opera letteraria “Noben glas” (Nessuna voce) della scrittrice slovena Suzana Tratnik, rielaborandone i temi con sensibilità e originalità.
La fotografia suggestiva di Rok Kajzer Nagode e la co-sceneggiatura di Nika Jurman contribuiscono a creare un’atmosfera onirica e malinconica, che enfatizza la solitudine infantile e la ricerca di rifugio in un mondo di fantasia.
“Volevo esplorare lo spazio tra la leggerezza della vita quotidiana e l’ombra ineludibile della perdita”, spiega la regista, “e mostrare come, di fronte al dolore, si possa cercare conforto nell’immaginazione, nel gioco, nella compagnia degli amici.
” Il film si dipana dunque tra momenti di intensa solitudine e istanti di gioia effimera, offrendo uno sguardo intimo e commovente sulla crescita di una giovane anima.
L’opera si erge a metafora universale della fragilità umana e della capacità di ritrovare la speranza anche nelle circostanze più avverse.








