Legalità, Solidarietà e Memoria: Una Voce per i Fragili

La legalità non si configura come un’imposizione burocratica, né come un esercizio accademico o un’ossessione di chi detiene il potere, bensì come il lessico essenziale di una convivenza civile.
Rappresenta il baluardo che protegge i vulnerabili, la voce che ribadisce che la legge non è privilegio di astuti manipolatori, ma scudo per chi si trova in condizione di debolezza.
Come affermava il Cardinale Domenico Battaglia, la legalità non è una barriera eretta per segregare i potenti, ma una rete di sicurezza per i più fragili.
La tradizione cristiana, consapevole delle imperfezioni intrinseche alle leggi umane – che possono, a loro volta, perpetuare ingiustizie – non si sottomette acriticamente a ogni disposizione normativa.

Il giudizio della coscienza, illuminato dalla fede, assume un ruolo cruciale, invitando a una riflessione profonda e a un agire responsabile al di là della mera conformità esteriore.

La solidarietà, lungi dall’essere un mero gesto compassionevole o un’immagine da esibire sui social media – una “solidarietà da selfie” che necessita di essere svelata per la sua vacuità – deve incarnarsi in azioni concrete e strutturali.
Si tratta di un impegno politico che affronta le disuguaglianze, di un’economia che si sottomette a criteri di equità, di una cultura che abbandona la narrazione ingannevole del successo individuale come prodotto esclusivo del merito personale.

Questa narrazione cancella le disarmanti realtà delle disparità sociali, delle barriere insormontabili e delle opportunità negate.
Il Cardinale Battaglia, nel suo discorso, ha posto l’attenzione sulle tragiche emergenze globali: la guerra in Ucraina, il conflitto a Gaza, le innumerevoli crisi umanitarie che affliggono l’Africa, un continente martoriato da guerre dimenticate.

Ha evocato l’immagine straziante del Mediterraneo, un mare trasformato in un “cimitero liquido”, un luogo di morte anonima, privo di pietà e memoria.

Migranti, vite spezzate, coordinate geografiche che sostituiscono nomi e storie.
Un mare che inghiotte speranze e identità.

La teologia, in questo contesto, non può limitarsi a offrire soccorso materiale.
Ha un dovere più profondo: quello di fermarsi, osservare, ricordare, diventare la voce dei silenziosi, la memoria ostinata delle vittime, un monito costante per l’umanità affinché non ripeta gli errori del passato e costruisca un futuro di giustizia, pace e solidarietà autentica.

Non si tratta solo di alleviare le sofferenze, ma di comprendere le cause profonde, di smantellare i sistemi che le perpetuano e di promuovere una trasformazione radicale dei valori e delle relazioni sociali.

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