L’accesso alla parola, la libertà di stampa, il diritto di confrontarsi con idee anche profondamente disturbanti: questi sono pilastri imprescindibili di una società democratica, e a essi si oppone qualsiasi forma di censura.
La recente polemica riguardante la partecipazione della casa editrice Passaggio al Bosco alla fiera “Più Libri Più Liberi” a Roma ha riacceso un dibattito cruciale, e io, come intellettuale, ritengo che la risposta debba essere ferma: non si può eludere il confronto con il pensiero, a prescindere dal suo contenuto.
Non si tratta di un nuovo fenomeno.
La circolazione di idee estreme, da destra come da sinistra, è una costante nella storia della cultura.
Scandalizzarsi o negare la loro esistenza non è una soluzione; anzi, sarebbe un atto di autolesionismo intellettuale.
Un intellettuale ha il dovere di confrontarsi con ciò che lo turba, di analizzarlo criticamente, di smontarne le argomentazioni, non di sottrarlo alla discussione pubblica.
Il silenzio, in questi casi, equivale a un’approvazione tacita.
La pretesa di “pulire” il mercato librario, di bandire dalla circolazione opere considerate “ripugnanti” è una forma di repressione mascherata da moralismo.
Chi aspira a una riflessione autentica, a una crescita intellettuale, deve coltivare la capacità di distinguere tra ciò che apprezza e ciò che rifiuta, ma senza pregiudizio, senza tabù.
La storia ci insegna che la censura è il terreno fertile per l’oppressione del pensiero e che ciò che oggi viene considerato “intollerabile” potrebbe, domani, essere condiviso o, peggio, messo a tacere.
La memoria dell’Indice dei libri proibiti, simbolo di un passato oscuro, dovrebbe essere monito costante.
Certamente, le accuse di affiliazione di Passaggio al Bosco con un gruppo responsabile di violenza nei confronti di attivisti politici sollevano questioni di altra natura, che richiedono un’indignazione morale e un’azione legale.
La difesa personale di fronte all’aggressione fisica è un diritto inalienabile, un istinto di sopravvivenza.
Tuttavia, questo non può essere equiparato al diritto di esprimere opinioni, anche se profondamente discutibili, nel contesto di una fiera libraria.
Comprendo le preoccupazioni espresse da figure come Zerocalcare, e riconosco che l’approccio generazionale possa giocare un ruolo.
I giovani firmatari dell’appello mostrano un’inquietudine legittima, un disagio che riflette un mondo in rapido cambiamento.
Tuttavia, l’esperienza mi insegna che la chiave non risiede nell’allontanamento, ma nell’analisi critica, nel dialogo aperto, nella capacità di contestare le idee con argomentazioni solide e un approccio costruttivo.
L’intellettuale non è un giudice, ma un facilitatore del dibattito, un testimone critico del suo tempo, un baluardo contro la tirannia del pensiero unico.
La difesa della libertà di espressione, anche quando fa male, è un dovere imprescindibile per chi crede in una società libera e pluralista.






