La colossale macchina escavatrice, simbolo tangibile delle fatiche e delle speranze di coloro che hanno dedicato anni all’acciaieria Ilva, ha fatto il suo ingresso in autostrada, in una processione che incarna un dramma industriale e sociale.
Il corteo, composto dai lavoratori e dalle loro famiglie, si muove con passo lento ma determinato, occupando una porzione significativa del sito autostradale.
La destinazione è Ponte San Giorgio, un luogo carico di significato per una comunità che rivendica il diritto al lavoro e alla dignità.
Il percorso, che include l’attraversamento della galleria, è un atto simbolico, un viaggio che dal passato di sfruttamento e precarietà guarda al futuro con un misto di speranza e apprensione.
L’immagine della pala meccanica, una macchina progettata per smuovere la terra, si fa metafora della necessità di scavare a fondo nelle cause della crisi industriale, per estrarre verità e trovare soluzioni durature.
Il casello di Genova Aeroporto, teatro di questo passaggio, è diventato un nodo cruciale, un punto di convergenza tra il disagio dei lavoratori e l’attenzione dell’opinione pubblica.
L’evento ha innescato inevitabili ripercussioni sul traffico autostradale, con lunghe code che si sono formate tra Genova Pegli e Genova Aeroporto, e tra il bivio autostradale A10/A7 e Genova Aeroporto.
Queste code non sono solo un inconveniente per i viaggiatori, ma rappresentano una lente d’ingrandimento sulla fragilità del sistema infrastrutturale e sulla necessità di una gestione più efficiente e sensibile alle esigenze della collettività.
La manifestazione, al di là del suo impatto immediato sul traffico, è un chiaro segnale di una protesta che affonda le sue radici in anni di promesse non mantenute, di licenziamenti ingiusti e di un futuro incerto.
È una voce che si alza per chiedere giustizia, per rivendicare diritti e per chiedere che le istituzioni si assumano la responsabilità di tutelare il patrimonio industriale e umano di un territorio martoriato.
Il corteo dei lavoratori dell’ex Ilva è più di una semplice protesta: è un grido di speranza, un appello alla responsabilità e un monito per il futuro.
È la dimostrazione che la dignità del lavoro non può essere sacrificata sull’altare della speculazione e dell’indifferenza.






