L’esercizio del diritto di manifestazione, pilastro fondamentale di una società democratica, si erge come espressione della libertà di pensiero e di parola, un diritto inalienabile sancito dalle Costituzioni e dalle convenzioni internazionali.
Tuttavia, questa libertà non può – e non deve – trascendere i limiti imposti dalla necessità di garantire la sicurezza e l’incolumità pubblica, nonché il rispetto della legalità.
Le recenti dinamiche, segnate da episodi di vandalismo e aggressioni contro rappresentanti delle forze dell’ordine durante manifestazioni, sollevano interrogativi cruciali sulla natura stessa dell’esercizio di questo diritto e sulle conseguenze di un suo abuso.
L’atto di distruggere proprietà pubbliche o private, di rivolgersi con violenza a chi ha il compito di assicurare l’ordine, non può essere equiparato all’espressione di un dissenso legittimo.
Si configura, al contrario, come un’imposizione di terrore e un’offesa alla dignità dello Stato, minando le fondamenta stesse della convivenza civile.
La strumentalizzazione della protesta, spesso utilizzata per mascherare intenti destabilizzanti, richiede un’analisi approfondita e una risposta ferma da parte delle istituzioni.
L’accusa di una “casta” di manifestanti privilegiati, disconnessi dalla realtà della popolazione, pur controversa, riflette una percezione diffusa di disuguaglianza e di una frattura sociale che alimenta risentimento e rabbia.
È imperativo riconoscere la validità delle preoccupazioni sottostanti, anche quando si manifestano attraverso modalità inaccettabili.
Il dialogo costruttivo, l’ascolto attivo e l’implementazione di politiche inclusive sono essenziali per affrontare le cause profonde di tali frustrazioni e per ricostruire un senso di fiducia tra cittadini e istituzioni.
Il ruolo dello Stato si configura come imprescindibile: garantire il diritto alla manifestazione pacifica, assicurando al contempo il rispetto della legge.
L’impiego della forza, se necessario, deve essere proporzionato e mirato a disinnescare la violenza, non a reprimere il dissenso.
È fondamentale che le forze dell’ordine agiscano con professionalità e imparzialità, evitando escalation e proteggendo la sicurezza di tutti.
La violenza verbale, spesso veicolata attraverso i social media e in contesti pubblici, rappresenta un’altra forma di aggressione che merita attenzione.
L’incitamento all’odio, l’insulto e la diffamazione, anche quando mascherati da “satira” o “opinione”, minano la coesione sociale e alimentano un clima di intolleranza.
La promozione di una cultura del rispetto, dell’empatia e della responsabilità digitale è essenziale per contrastare questo fenomeno.
Lo Stato non può, né deve, rimanere passivo di fronte a comportamenti illegali, indipendentemente dalle motivazioni che li ispirano.
La certezza del diritto e l’applicazione imparziale delle leggi rappresentano il fondamento di uno Stato di diritto.
Allo stesso tempo, è cruciale evitare la stigmatizzazione generalizzata e la criminalizzazione di intere categorie di persone, promuovendo invece un approccio educativo e riabilitativo.
La resilienza istituzionale implica la capacità di affrontare le sfide con fermezza, ma anche con saggezza e lungimiranza, mirando a costruire una società più giusta, equa e pacifica.
L’intimidazione non può prevalere sulla volontà di garantire i diritti e la sicurezza di tutti i cittadini.






