Marassi, il grido per Hannoun: mobilitazione e accuse a Israele

Davanti al carcere di Marassi, il grido di Mahmoud Hannoun, figlio di Mohammad, architetto palestinese detenuto, si eleva come un presagio di mobilitazione prolungata.
La protesta, nata per denunciare l’arresto del padre, si configura come un atto di resistenza contro un accorso di accuse che Mahmoud definisce apertamente emanato da uno “Stato genocida”, riferendosi a Israele.

L’evento, più che una manifestazione spontanea, si rivela il preludio a una serie di iniziative programmate in diverse città italiane, da Milano a Roma, dove la richiesta di giustizia per Mohammad Hannoun risuonerà con sempre maggiore eco.

L’assemblea, composta da circa cento persone, trascende le tradizionali divisioni politiche.
Mahmoud, nel suo breve intervento al microfono, ha esplicitamente voluto sottolineare come la questione non si riduca a un mero confronto ideologico, ma si fondi su principi universali di equità e dignità umana.

La presenza di attivisti ProPal, amici di Hannoun e di una significativa delegazione dell’Api (Associazione dei Palestinesi in Italia) testimonia una rete di solidarietà che si estende oltre i confini regionali.
Accanto a Mahmoud, il sostegno familiare è tangibile nella presenza della sorella Jinan e della madre Fathema, il cui dolore si intreccia con la determinazione a lottare per la libertà del loro congiunto.

Salah Husein, imam e presidente del centro culturale islamico di Genova, offre un commento misurato ma fermo.
Pur ribadendo la fiducia nel sistema giudiziario italiano, non esita a sollevare dubbi significativi sull’impostazione dell’inchiesta, in particolare riguardo alla provenienza delle informazioni che hanno portato all’arresto di Hannoun. L’insistenza sulla natura straniera delle prove, provenienti direttamente da Israele, suggerisce un’interferenza inaccettabile in un processo giudiziario italiano.
L’imam, che conosce Hannoun da anni, lo descrive come un uomo virtuoso e consapevole, capace di valutare i rischi e di agire di conseguenza, esprimendo una ferma convinzione nella sua innocenza.

La sua testimonianza aggiunge un elemento di gravità alla vicenda, insinuando possibili motivazioni politiche o strumentali dietro le accuse.

La protesta, quindi, si configura non solo come un atto di supporto a un padre e un marito ingiustamente detenuto, ma anche come una denuncia di un sistema giudiziario potenzialmente compromesso da influenze esterne e di un’accusa che si presenta come un’estensione di un conflitto geopolitico su territorio italiano.

La richiesta di libertà per Mohammad Hannoun si eleva a simbolo di una più ampia lotta per la giustizia e l’autodeterminazione, alimentando la speranza di un futuro in cui i principi di equità e legalità prevalgano sulle logiche di potere e sulle narrazioni di guerra.

La mobilitazione promessa in altre città italiane promette di amplificare questo messaggio e di coinvolgere un pubblico sempre più vasto nella difesa dei diritti umani e nella ricerca della verità.

- pubblicità -
- Pubblicità -
- pubblicità -
Sitemap