Il Premio Luchetta, nella sua ventiduesima edizione, ha acceso un faro critico sulle dinamiche profonde e spesso inespresse dei flussi migratori e sulle conseguenze delle politiche di controllo delle frontiere.
Alessia Candito, giornalista de La Repubblica e vincitrice del prestigioso riconoscimento nella categoria “Rotta Balcanica”, ha offerto una testimonianza lucida e inquietante, smontando l’immagine consolatoria di un progressivo contenimento degli arrivi.
La realtà, a suo avviso, è molto diversa: non si tratta di una diminuzione, ma di una ridefinizione, una canalizzazione dei flussi verso percorsi più impervi e pericolosi, dove la violenza si moltiplica esponenzialmente.
Le misure di sicurezza, anziché garantire protezione, hanno amplificato l’insicurezza dei migranti, trasformando il viaggio in un accumulo di traumi e vulnerabilità.
L’allungamento delle rotte, la precarietà delle condizioni di vita, l’esposizione a sfruttamento e abusi, creano un ciclo di disumanizzazione che si riverbera fino al cuore delle città europee.
Anche l’esercizio di un diritto fondamentale come la richiesta di asilo, un diritto sancito dal diritto internazionale, si trasforma in un atto di supplica, un favore da mendicare a funzionari pubblici spesso impreparati o poco inclini a favorirlo.
Questo divario tra la promessa di protezione e la realtà vissuta dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per l’intera società.
Il Premio Luchetta ha offerto una piattaforma per affrontare tematiche complesse e urgenti.
Oltre alla denuncia delle conseguenze delle politiche di frontiera, sono stati esaminati scenari globali di povertà, sfruttamento, e diaspora forzata, come nel drammatico caso dei bambini ucraini costretti a fuggire dalla guerra.
Particolarmente intenso è stato il dibattito “Le macerie di Gaza e il collasso del diritto”, un’analisi approfondita del conflitto israelo-palestinese che ha messo in luce le violazioni dei diritti umani e le sfide poste alla giustizia internazionale.
Il premio, con i suoi panel e i suoi incontri, si propone come uno spazio di riflessione critica e di dialogo costruttivo, un luogo in cui dare voce a chi è spesso silenziato e denunciare le ingiustizie che affliggono il nostro mondo.
L’edizione 2024 si conclude domani, ma il messaggio lanciato risuona con forza, sollecitando un ripensamento radicale delle politiche migratorie e un impegno rinnovato per la difesa dei diritti umani, pilastri imprescindibili di una società civile veramente giusta e inclusiva.
Il premio non è solo una celebrazione del giornalismo d’inchiesta, ma un monito costante a non abbassare la guardia di fronte alle sfide globali che ci attendono.








