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Ortona, 15 anni per maltrattamenti e morte della cognata.

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La vicenda che ha visto protagonista Donato Di Meo, 74enne di Ortona, si è conclusa con una sentenza di condanna a 15 anni di reclusione emessa dalla Corte d’Assise di Chieti.
Il processo, incentrato sulla morte della cognata Valentina Civitarese, 78 anni, ha gettato luce su un quadro di abusi domestici e vulnerabilità che interseca tematiche complesse come la demenza senile, la responsabilità penale e il ruolo del coniuge nell’ambito di dinamiche familiari disfunzionali.

La pubblica accusa, rappresentata dal procuratore Giancarlo Ciani, aveva inizialmente richiesto una pena più severa, pari a 20 anni, escludendo qualsiasi attenuante.

La Corte, presieduta da Guido Campli e con la partecipazione del giudice a latere Enrico Colagreco, ha accolto la richiesta di interdizione perpetua dai pubblici uffici e ha stabilito un risarcimento danni a carico dell’imputato, da quantificarsi in una successiva sede civile.

La ricostruzione dei fatti, basata su una corposa consulenza medico-legale coordinata dal professor Luigi Capasso e dal medico legale Pietro Falco, ha individuato nella ripetuta compressione della gabbia toracica, protrattasi nel tempo, la causa principale delle lesioni che hanno condotto alla morte di Valentina Civitarese.

Le fratture delle costole e dello sterno, conseguenza diretta di questi abusi, hanno innescato una sepsi nell’emitorace destro, il fattore determinante del decesso avvenuto il 12 febbraio 2022.

La condizione di demenza senile della vittima, residente nella stessa abitazione insieme alla sorella Lunella e al cognato Donato, ha acuito la sua vulnerabilità, rendendo più difficile la percezione e la segnalazione delle violenze subite.
La difesa, affidata agli avvocati Gianluca Travaglini e Maria Elena Cicconetti, ha immediatamente annunciato l’intenzione di presentare appello, contestando l’assenza di prove certe a sostegno della responsabilità dell’imputato e mettendo in luce presunte contraddizioni negli elementi emersi durante il processo.
Un aspetto cruciale, emerso nel corso dell’istruttoria, ha riguardato la presunta complicità della moglie di Di Meo, Lunella, sorella della vittima.

L’accusa aveva ipotizzato che Di Meo non avesse impedito alla moglie di perpetrare a sua volta maltrattamenti nei confronti di Valentina, attraverso percosse e violenze fisiche.

La perizia psichiatrica disposta ha dichiarato Lunella incapace di partecipare coscientemente al processo, sollevando interrogativi sulla sua responsabilità e sul ruolo della sua condizione nel contesto della dinamica familiare.

Le parti civili, rappresentate dagli avvocati Francesca Manica e Mariella Mancini, hanno sostenuto il diritto alla verità e alla giustizia per Valentina Civitarese, sottolineando la necessità di contrastare ogni forma di violenza domestica e di tutelare le persone più fragili.
L’intera vicenda pone quindi l’accento sulla complessità di affrontare casi di maltrattamenti in contesti familiari segnati dalla malattia mentale e dalla dipendenza, evidenziando l’importanza di un approccio multidisciplinare che coinvolga istituzioni, operatori sanitari e servizi sociali per prevenire e contrastare ogni forma di abuso.

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