Palermo, un caleidoscopio di memorie scolpite nella pietra e nel colore, si rivela attraverso lo sguardo acuto di Sergio Troisi, in un viaggio che si snoda dall’età del Paleolitico superiore ai mosaici contemporanei.
“Palermo, racconto di una città in 100 opere”, pubblicato da Kalós, non è un mero excursus storico-artistico, ma una narrazione suggestiva, un percorso emozionale che intreccia arte, storia e identità.
Il viaggio inizia con i graffiti preistorici dell’Addaura, testimonianze silenziose di una presenza umana primordiale, per elevarsi fino a un planisfero presente, emblema di un’identità palermitana che si fa spazio nel mondo.
Questo oggetto, collocato in un ristorante multietnico nel cuore dell’Albergheria, visualizza Palermo come un nodo pulsante, un centro da cui irradiano connessioni verso ogni direzione del globo, incarnando una città cosmopolita e profondamente radicata nel suo territorio.
La selezione delle cento opere e degli oggetti che compongono il racconto non segue un ordine cronologico o stilistico convenzionale.
Ogni scelta è dettata da un’ispirazione, un indizio, un’eco di un’esperienza, creando un percorso non lineare, ricco di sorprese e rivelazioni.
Troisi ci conduce attraverso vicende dimenticate, aneddoti curiosi, misteri irrisolti, dipingendo un affresco complesso e sfaccettato della città.
Emergono storie di tragedie impreviste, come il crollo del pontile del porto nel 1590, immortalato da Alvino, che si tramutò in una carneficina che coinvolse personalità di spicco.
Un racconto che si intreccia con il mistero dell’iconografia del Genio, simbolo ricorrente di Palermo, e con le vicissitudini del celebre ritratto di Franca Florio, modificato più volte da Giovanni Boldini.
L’ombra della perdita si allunga sulla città con la scomparsa del Caravaggio, la Natività trafugata dall’oratorio di San Lorenzo, un furto che ha privato la città di un capolavoro e un enigma che ancora oggi alimenta interrogativi.
Il racconto si arricchisce di episodi bizzarri, come la protesta delle donne della Kalsa che, sfidando l’autorità del pretore, mostravano il sedere dalle mura delle “cattive” per denunciare un aumento delle tasse, un gesto di ribellione che mescola sacro e profano.
La grandezza artistica di Palermo si manifesta in forme diverse: dalla magnificenza della Cappella Palatina, con i suoi mosaici che catturano la luce in giochi cangianti, all’impegno di artisti come Renato Guttuso, che con la sua “Vucciria” ci consegna un’immagine cruda e intensa di un mondo in trasformazione e declino.
Ma l’itinerario tracciato da Troisi non elude le ferite profonde che segnano il tessuto urbano di Palermo.
Le cicatrici del sacco edilizio, le ferite ancora aperte dei bombardamenti del 1943, si affiancano alla consapevolezza di un’identità divisa, lacerata tra la volontà di preservare e il desiderio di distruggere.
Due anime, o forse più, che si confrontano, si scontrano, definendo il destino della città.
L’opera di Troisi non è solo un omaggio alla bellezza artistica di Palermo, ma anche una riflessione critica sulla sua storia, sulle sue contraddizioni e sulle sue speranze.
Un invito a riscoprire la città attraverso gli occhi dell’arte, a comprenderne l’anima complessa e a custodirne il patrimonio culturale, un tesoro inestimabile che appartiene a tutti.







