Nel cupo scenario dell’aula di Corte d’Assise a Pesaro, Ezio Di Levrano ha espresso un rammarico formale, un’ammissione di responsabilità per un atto che ha strappato la vita ad Ana Cristina Duarte Correia, la sua moglie di 38 anni, brutalmente assassinata con otto coltellate nella loro abitazione di Saltara, nel settembre 2024.
La tragicità dell’evento è amplificata dalla presenza dei tre figli, di età compresa tra i 6 e i 14 anni, che in quella notte di orrore si sono ritrovati testimoni inconsapevoli di una violenza inaudita.
Le parole dell’imputato, benché formali, hanno sollevato un coro di reazioni contrastanti.
Francesca Grazia Conte, avvocatessa che rappresenta la famiglia della vittima, ha criticato il tentativo di attenuare la gravità del gesto attraverso un’apparente espressione di pentimento.
“Si tratta del solito cliché,” ha affermato l’avvocatessa, sottolineando come il sistema giudiziario italiano non possa riconoscere mitiganti basate su stati emotivi o passionali, in ragione della disumanità del crimine.
In contrasto, il difensore di Di Levrano, Salvatore Asole, ha interpretato le sue dichiarazioni come un segno tangibile di rimorso, in linea con le prime manifestazioni di pentimento espresse immediatamente dopo l’arresto.
Asole ha insistito sulla necessità di considerare la possibilità di attenuanti, sia generiche che specifiche, auspicando una valutazione che possa prevalere sulle contestate aggravanti.
Il processo si configura come una complessa battaglia giuridica incentrata sull’interpretazione delle aggravanti e sull’eventuale sussistenza di attenuanti.
Un elemento cruciale è la questione giuridica sollevata dal pm riguardo ai maltrattamenti, contestati come reato autonomo e connessi all’omicidio.
La decisione su quale delle due accuse sia quella prevalente si rivelerà determinante per il destino dell’imputato.
L’indagine e il successivo processo non si limitano a ricostruire la dinamica del tragico evento, ma si propongono di analizzare le radici della violenza, con particolare attenzione al contesto relazionale e alla possibile presenza di comportamenti abusivi pregressi.
La ricostruzione del rapporto tra i coniugi, attraverso l’audizione di testimoni e la valutazione di prove documentali, si preannuncia fondamentale per comprendere le motivazioni che hanno portato alla morte di Ana Cristina Duarte Correia.
La lunga e complessa iter processuale, suddivisa in diverse udienze, prevede l’audizione di numerosi testimoni, sia per la parte civile che per la difesa.
L’esame diretto dell’imputato, previsto per il mese di febbraio 2026, offrirà un’ulteriore opportunità di chiarimenti e approfondimenti.
La discussione finale, calendarizzata tra aprile e maggio dello stesso anno, si concluderà con la sentenza, destinata a sancire la verità giuridica e ad applicare la giusta pena per un crimine che ha lasciato una profonda ferita nella comunità e nel cuore dei tre figli orfani.
La vicenda solleva, inoltre, interrogativi cruciali sulla prevenzione della violenza domestica e sulla necessità di rafforzare i meccanismi di protezione per le vittime di abusi.







