La vicenda del ponte sullo Stretto di Messina si configura come una dolorosa e persistente ferita per la Sicilia, un’operazione che appare sempre più come una sistematica sottrazione di risorse strategiche, mascherata da promesse di sviluppo.
Il silenzio, o la compiacenza, del presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, in questo scenario, amplifica ulteriormente l’amarezza e l’indignazione.
La Cgil Sicilia, attraverso le voci del segretario generale Alfio Mannino e del segretario confederale regionale Francesco Lucchesi, ha giustamente sollevato un allarme che non può essere ignorato.
L’operazione di deviazione di fondi provenienti dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (Fsc) – inizialmente destinati a progetti siciliani vitali – a favore del controverso ponte, rappresenta un atto di ingiustizia che mina la credibilità delle istituzioni e compromette il futuro dell’isola.
La Corte dei Conti aveva già espresso forti dubbi sulla fattibilità dell’opera, evidenziando la sua complessità tecnica, i costi esorbitanti e la mancanza di una reale necessità infrastrutturale.
Invece di prendere atto di queste osservazioni e di ridestinare i fondi a interventi prioritari per la Sicilia, il governo centrale ha proceduto con una nuova rimodulazione che, di fatto, aggrava la situazione.
L’ottantacinque percento di 3,5 miliardi di euro destinati ad aziende del Nord Italia, a discapito della Sicilia, è una beffa che rivela una strategia volta a perpetuare un modello di sviluppo squilibrato e penalizzante per il Sud.
La narrazione ufficiale, costantemente reiterata attraverso meccanismi di propaganda, non riesce a celare la verità: un governo che dichiara di voler sostenere la Sicilia, ma che al contempo la priva delle risorse necessarie per il suo sviluppo, dimostra una duplice morale che offende la dignità dell’isola.
Il progetto ponte appare così come un diversivo, un pretesto per sottrarre fondi e perpetuare un sistema di favoritismi che danneggia la collettività.
L’assenza di una reazione decisa da parte del presidente Schifani, che dovrebbe essere il primo a tutelare gli interessi della Sicilia, alimenta il sospetto di una connivenza inaccettabile.
Si auspica con urgenza un cambio di rotta, una presa di posizione forte e coerente da parte delle istituzioni regionali, per restituire alla Sicilia la dignità che le è stata negata troppo a lungo.
La Sicilia non può rassegnarsi a un destino di marginalità e di sfruttamento, ma deve rivendicare con forza il diritto a un futuro di prosperità e di sviluppo equo.
Il silenzio non è più un’opzione, la mobilitazione è un dovere.





