Il presepe di Terni, quest’anno, si configura come un atto di memoria e una profonda riflessione teologica, trascendendo la mera rappresentazione natalizia per divenire un potente monito contro la violenza di genere.
L’imponente struttura, allestita presso il Cenacolo San Marco dall’Istituto di studi teologici e storico-sociali, utilizza un rosso acceso, colore simbolo delle scarpette rosse che commemorano le vittime del femminicidio, per illuminare la mangiatoia del Bambino Gesù.
Questa scelta cromatica non è arbitraria, ma intende creare un legame visivo e concettuale tra l’innocenza della nascita di Gesù e la tragica perdita di vite umane a causa della brutalità maschile.
Il progetto, guidato dal direttore Arnaldo Casali, non si limita a denunciare la cronica emergenza della violenza sulle donne, ma si addentra nel cuore del Vangelo, estrapolandone un messaggio spesso trascurato: quello della responsabilità maschile e della possibilità di scelta contro l’istinto aggressivo.
Giuseppe, figura spesso marginale nella narrazione biblica, viene riscoperto come paradigma di un’umanità virtuosa, un uomo che, secondo le leggi dell’epoca, avrebbe potuto infliggere un destino orribile a Maria, ma che invece sceglie la via della protezione, della discrezione, della dignità e, soprattutto, dell’assenza di violenza.
Questa decisione, presa in un contesto storico e sociale fortemente patriarcale, assume un significato rivoluzionario, ponendo le basi non solo per la nascita del cristianesimo, ma per l’evoluzione della civiltà occidentale.
Il presepe è articolato in tre livelli simbolici, ognuno dei quali contribuisce a veicolare un messaggio complesso e stratificato.
Il livello inferiore è costituito da una miriade di scarpette rosse, un toccante memoriale delle vittime innocenti.
Il cuore della rappresentazione è la capanna, che ospita Maria, Giuseppe e Gesù, un’immagine di speranza e di potenziale redenzione.
Intorno alla capanna, una moltitudine di bambini solitari, figure silenziose che incarnano il dolore e la perdita, il vuoto lasciato dalla violenza di genere e dalla mancanza di una guida paterna capace di resistere alla violenza.
Il livello superiore, infine, raffigura figure distanti, simboli dell’indifferenza e della complicità che alimentano la cultura della violenza, invitando lo spettatore a interrogarsi sulla propria responsabilità e a superare l’abitudine di voltare lo sguardo.
L’iniziativa culmina in un incontro pubblico con la teologa Lilia Sebastiani, un’occasione per approfondire le implicazioni teologiche e sociali del presepe, e la sua eccezionale esposizione, protratta fino al 25 novembre 2026, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sottolinea l’impegno dell’Istituto di Terni a mantenere viva la memoria delle vittime e a promuovere una cultura del rispetto e della parità.
L’allestimento si inserisce nel contesto del Terni Film Festival, che da anni dedica un focus specifico sulla violenza di genere, confermando il suo ruolo di piattaforma di sensibilizzazione e di riflessione sociale.
Il presepe, quindi, non è solo un’opera d’arte, ma un appello alla coscienza collettiva, un invito a costruire un futuro in cui la violenza non trovi più spazio.






