L’episodio verificatosi durante la protesta contro il Ponte sullo Stretto, così come in altre manifestazioni, solleva interrogativi profondi sulla natura stessa dell’esercizio del dissenso e sulla sua strumentalizzazione.
L’affermazione del procuratore di Catania, Francesco Curcio, focalizza l’attenzione su una distorsione preoccupante: l’emersione di un nucleo di individui che, sfruttando la legittima espressione di opinioni divergenti, mira a destabilizzare le istituzioni e ad attaccare i loro rappresentanti.
La divisione del corteo, come evidenziato dal procuratore, assume un significato simbolico e operativo.
Da un lato, una componente manifesta apertamente il proprio dissenso, esercitando il diritto costituzionale di critica e contestazione.
Dall’altro, un gruppo, agendo nell’ombra e occultando la propria identità, si presenta come un elemento destabilizzante, predisponendo atti di violenza e sabotaggio.
L’uso di maschere e l’adozione di tattiche guerrafondaiere non sono casuali, ma mirano a creare un’immagine di caos e di ribellione incontrollabile, oscurando il messaggio originario della protesta.
Questa dicotomia legale/illegale non è una semplice questione di conformità o meno alle norme, ma riflette una problematica più ampia: la ridefinizione stessa del concetto di protesta.
Il diritto di contestare le decisioni governative è un pilastro della democrazia, ma non può essere utilizzato come scudo per giustificare atti di vandalismo, aggressioni e danni alla proprietà pubblica.
L’azione di questi individui non è un atto spontaneo, ma si configura come un’attività premeditata, come dimostrano gli arresti di persone già coinvolte in episodi simili.
Si tratta, in sostanza, di un attacco gratuito, che mira a delegittimare le istituzioni e a seminare la paura nella popolazione.
La preparazione di ordigni incendiari e l’utilizzo di “marchingegni” per lanciare petardi contro le forze dell’ordine non sono semplici atti di teppismo, ma rappresentano una vera e propria escalation della violenza.
Le lesioni riportate dagli agenti sottolineano la gravità della situazione e la necessità di un intervento deciso da parte delle autorità.
È fondamentale che la magistratura separi con chiarezza i manifestanti pacifici dai soggetti che agiscono con intenti criminali, garantendo al contempo la tutela dell’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini.
L’episodio solleva, infine, un interrogativo cruciale: come difendere il diritto di protesta, preservandone l’integrità e il significato, senza tollerare la strumentalizzazione e la violenza? La risposta passa attraverso una maggiore consapevolezza da parte di tutti gli attori coinvolti: dai manifestanti stessi, che devono rifiutare ogni forma di radicalizzazione, alle forze dell’ordine, che devono garantire la sicurezza con fermezza e imparzialità, fino alla magistratura, che deve assicurare che la giustizia sia applicata senza preclusioni.
Solo così sarà possibile preservare il diritto di contestazione come strumento di partecipazione democratica e progresso sociale.








