Riforma Giustizia Militare: l’ANM difende un equilibrio delicato

La persistente commistione ordinamentale e la condivisione di un patrimonio culturale profondo tra la funzione giudicante e quella requirente, storicamente, hanno contribuito a vigilare sulla scrupolosità con cui il pubblico ministero adempie ai propri obblighi, quali sono quelli di perseguire la verità materiale – quella stessa verità che il giudice, in virtù di un imperativo costituzionale, è chiamato ad accertare con imparzialità.

Proporre una separazione strutturale tra queste due figure, significa, in sostanza, estromettere il pubblico ministero da un ambiente permeato dai principi cardine del diritto e privarlo di un controllo significativo, che si manifesta anche attraverso meccanismi disciplinari, esercitato dall’approccio terzo e distaccato del giudice.

Questa è la tesi sostenuta dall’Associazione Nazionale Magistrati Militari, che si oppone alla Riforma della Giustizia in discussione.

La magistratura militare, che replica nell’organizzazione quella ordinaria, rappresenta una prova tangibile del fatto che i Padri Costituenti, nel delineare un sistema giudiziario rapido ed efficiente, non hanno mai previsto la dicotomia tra giudici e pubblici ministeri.

Il loro intento primario è stato quello di tutelare l’indipendenza di entrambi, garantendo al contempo una razionalità intrinseca nell’organizzazione dell’attività giurisdizionale.

Questo approccio si fonda sulla profonda specializzazione dei magistrati, i quali possiedono una conoscenza approfondita del contesto normativo che regolamenta la materia di loro competenza.

Questa specializzazione mira a garantire indagini accurate e approfondite, processi snelli e, conseguentemente, una maggiore certezza del diritto e una giustizia penalmente equilibrata.

La riforma legislativa proposta, come evidenzia il presidente dell’Associazione, Filippo Verrone, introduce un cambiamento potenzialmente rischioso per questo delicato equilibrio.
Si teme che la separazione delle funzioni possa compromettere l’efficacia del controllo di legalità che, finora, ha caratterizzato l’azione delle forze armate.

Parallelamente, si rischia di minare il diritto di chiunque si trovi coinvolto in procedimenti giudiziari militari, ad un processo equo e libero da influenze esterne, preservando l’oggettività del giudizio.
In sostanza, la riforma potrebbe erodere i pilastri di un sistema che ha storicamente garantito sia l’efficienza che l’imparzialità, esponendo il processo penale militare a rischi di distorsione e a una potenziale diminuzione della sua credibilità.

La salvaguardia di questo equilibrio, pertanto, emerge come imperativo per la tutela dei diritti fondamentali e per la garanzia di una giustizia militare realmente equa e imparziale.

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