Il caso Rosanna Natoli, ex consigliera laica del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), si avvia verso un processo a Catania, segnando una fase delicata nel rapporto tra potere giudiziario e controllo politico.
Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) Giuseppina Starace ha disposto il rinvio a giudizio per rivelazione di segreto d’ufficio, una decisione che investe direttamente un organo chiave per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura italiana.
La prima udienza è fissata per il 15 settembre 2026, data che sottolinea la complessità e la lunghezza del procedimento.
L’imputazione ruota attorno alla diffusione, tramite una registrazione audio compromettente, di informazioni riservate relative a un procedimento disciplinare che coinvolgeva la magistrata Maria Fascetto Sevillo, deceduta nel frattempo.
La divulgazione, avvenuta durante un incontro privato in Sicilia, si presume abbia violato i doveri di imparzialità e terzietà che gravano su un membro del CSM, in particolare quando si tratta di questioni disciplinari.
L’evento scatenante è stato il deposito di tale registrazione il 16 luglio 2024, un’azione che ha innescato una reazione a catena di eventi.
Solo pochi giorni prima, il 17 luglio 2024, la Natoli si era già dimessa dall’incarico di consigliera nella sezione disciplinare di Palazzo Bachelet, sebbene non avesse rinunciato al ruolo di consigliera CSM.
Questa scelta, inizialmente percepita come una mossa difensiva, non ha impedito l’avvio del procedimento disciplinare interno al CSM.
La gravità della situazione è stata accentuata dalla successiva delibera del plenum del CSM dell’11 settembre 2024, che ha votato a favore della sospensione dalla carica della Natoli.
In tale occasione, il vicepresidente del CSM, Pinelli, ha esplicitamente collegato il comportamento della Natoli ai requisiti per la configurazione del reato di rivelazione di segreto d’ufficio.
La vicenda solleva interrogativi profondi sull’equilibrio tra trasparenza e riservatezza all’interno del sistema giudiziario.
La divulgazione di informazioni, seppur avvenuta in un contesto privato, ha compromesso l’immagine del CSM e alimentato un dibattito sulla responsabilità dei suoi membri.
La decisione del GIP e il successivo processo, quindi, rappresentano non solo un giudizio sulla condotta individuale della Natoli, ma anche un banco di prova per i principi di correttezza, imparzialità e segreto professionale che dovrebbero guidare l’operato della magistratura.
La difesa della Natoli ha contestato veemente la decisione del CSM, denunciando un “fango lanciato” e lamentando un “processo sommario” che avalla un “pericoloso precedente”: la possibilità di sospendere un consigliere del CSM sulla base di una mera indagine preliminare.
Questa posizione evidenzia la tensione tra il diritto alla difesa e la necessità di garantire l’integrità delle istituzioni.
Il processo si preannuncia dunque come un momento cruciale per delineare i limiti dell’azione del CSM e per ribadire l’importanza di un controllo democratico, ma rispettoso dell’autonomia, del potere giudiziario.
L’inchiesta, inizialmente condotta dalla Procura di Roma, è stata poi trasferita a Catania per competenza territoriale, complicando ulteriormente il quadro procedurale.






