La crescente tensione tra Report e l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali si intensifica, innescata da un’inchiesta incentrata sulle smart glasses di Meta, un dispositivo che solleva interrogativi profondi sulla sorveglianza, la privacy e l’evoluzione del rapporto tra tecnologia e società.
La pubblicazione di un breve anticipo sui canali social del programma ha amplificato le preoccupazioni e ha riacceso un dibattito cruciale.
L’oggetto dell’indagine, le smart glasses Horizon di Meta, incarnano una nuova frontiera nell’interfaccia uomo-macchina.
Non si tratta semplicemente di occhiali connessi; sono dispositivi capaci di catturare video e audio, di analizzare l’ambiente circostante tramite intelligenza artificiale e di trasmettere dati in tempo reale.
Questa capacità intrinseca solleva interrogativi etici e legali di primaria importanza, che vanno ben oltre la semplice conformità alle normative esistenti.
Il Garante per la Privacy, con crescente attenzione, ha espresso riserve sull’uso di tali tecnologie, sottolineando la potenziale violazione dei diritti fondamentali alla riservatezza e alla protezione dei dati personali.
La raccolta massiccia di informazioni ambientali e comportamentali, spesso in contesti privati e non pubblici, crea un rischio significativo di profilazione, discriminazione e sorveglianza non consensuale.
Il principio di “privacy by design”, che impone alle aziende di integrare la protezione dei dati fin dalla progettazione di un prodotto, sembra essere messo alla prova da un dispositivo che per sua stessa natura promuove la raccolta di dati.
Report, da parte sua, ha il dovere di informare il pubblico su queste implicazioni, esercitando il diritto di cronaca e contribuendo al dibattito pubblico.
L’inchiesta mira a svelare i meccanismi interni di funzionamento delle smart glasses, a esaminare le politiche di gestione dei dati adottate da Meta e a valutare l’impatto di queste tecnologie sulla vita quotidiana delle persone.
Il conflitto tra il diritto all’informazione e la necessità di tutelare la privacy non è nuovo, ma assume una nuova urgenza nell’era dell’intelligenza artificiale e della connettività pervasiva.
La questione non è semplicemente quella di stabilire se Meta stia rispettando le leggi esistenti, ma di interrogarsi se queste leggi siano sufficienti per affrontare le sfide poste da una tecnologia che ridefinisce la natura stessa della sorveglianza.
Si tratta di un momento cruciale per la definizione dei confini tra innovazione tecnologica e diritti fondamentali.
Il dibattito sollevato da Report e dall’intervento del Garante non si limita a un singolo dispositivo o a una singola azienda, ma investe il futuro stesso della nostra società, interrogandoci su come vogliamo vivere in un mondo sempre più connesso e digitalizzato.
La responsabilità di proteggere la privacy non è solo quella delle autorità di controllo, ma anche di ogni singolo cittadino, che deve essere consapevole dei rischi e dei benefici delle nuove tecnologie e partecipare attivamente al dibattito pubblico.
La trasparenza, l’educazione digitale e la vigilanza sono strumenti essenziali per garantire che l’innovazione tecnologica sia al servizio del benessere umano e non una fonte di nuove forme di controllo e manipolazione.







