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mercoledì 19 Novembre 2025

Stalking digitale: 2 anni e 8 mesi per cyber-molestie a Napoli

Un uomo di 32 anni è stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione dal tribunale penale di Napoli per atti persecutori e accesso abusivo a un sistema informatico, un caso che solleva interrogativi profondi sulla tecnologia, la violenza domestica e i confini della privacy nell’era digitale.

L’episodio, gestito dalla Procura di Napoli (IV sezione Fasce deboli) e celebrato con il rito abbreviato, illustra come la pervasività degli strumenti digitali possa essere strumentalizzata per esercitare un controllo ossessivo e intimidatorio nei confronti di una persona.

L’imputato, attraverso l’installazione occulta di uno spyware sul cellulare della sua ex fidanzata, una giovane donna di 26 anni, ha instaurato una dinamica di controllo pervasivo, una forma di violenza psicologica che si manifesta con minacce, intimidazioni e una costante invasione della sfera privata.

Le comunicazioni, avvenute tramite chat, rivelano un linguaggio aggressivo e minaccioso, culminato in esplicite allusione alla volontà di infliggere danni fisici, come dimostra la macabra “esibizione” di un coltello durante una videochiamata, accompagnata da un successivo, inquietante, “agguato” nei pressi di un teatro frequentato dalla vittima.
Le indagini, sfociate in un arresto in carcere, hanno rivelato un quadro di pedinamenti, un flusso incessante di messaggi provenienti da profili social creati ad hoc, un vero e proprio assedio digitale volto a terrorizzare e isolare la giovane donna.
L’utilizzo dello spyware rappresenta un’aggravante significativa, in quanto consente una sorveglianza continua e inaccessibile, privando la vittima di qualsiasi senso di sicurezza e libertà.
La pena, se il processo si fosse svolto con il rito ordinario, sarebbe stata di quattro anni, evidenziando la gravità dei reati commessi.

L’avvocato Sergio Pisani, legale della vittima, sottolinea con forza l’importanza cruciale dell’intervento tempestivo della magistratura e dell’applicazione della custodia cautelare in carcere, un provvedimento che ha contribuito a prevenire una potenziale escalation della violenza e a scongiurare una tragedia.

Questo caso, purtroppo, non è un evento isolato, ma riflette una tendenza preoccupante: l’uso improprio della tecnologia per perpetrare forme di violenza psicologica e controllo.

Il dibattito sollevato da questa vicenda non si limita all’aspetto giuridico, ma investe la necessità di una maggiore consapevolezza sui rischi connessi all’utilizzo di strumenti digitali, l’importanza di promuovere una cultura del rispetto e della privacy, e la necessità di sviluppare strategie efficaci per contrastare lo stalking e la violenza domestica nell’era digitale.

La tecnologia, nata per connettere e semplificare la vita, rischia di trasformarsi in uno strumento di oppressione se non accompagnata da un’adeguata riflessione etica e da una rigorosa applicazione della legge.

L’episodio costituisce un campanello d’allarme che invita a un ripensamento profondo dei confini tra controllo, libertà e diritto alla privacy nel mondo contemporaneo.

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