Suicidio in carcere: il settantesimo caso nel 2025. Crisi nel sistema penitenziario italiano.

Il silenzio funebre si è infranto nel carcere di Pistoia, aggiungendo un capitolo agghiacciante a un anno già segnato da una spirale di disperazione.
Un detenuto rumeno di 54 anni, il settantesimo a sottrarsi alla vita in un penitenziario italiano nel corso del 2025, ha scelto il suicidio come unica via d’uscita.

La notizia, comunicata dal segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria, Gennarino De Fazio, non è un fatto isolato, ma il sintomo di una profonda crisi sistemica, un barometro impietoso che misura il fallimento del sistema di esecuzione penale.

L’uomo, accusato di reati contro la persona e in attesa del primo grado di giudizio, si è tolto la vita nel bagno della sua cella.

Il gesto, una spirale di dolore che si chiude su se stessa, non riguarda solo la sua persona, ma riflette una condizione diffusa, un senso di abbandono e di assenza di prospettive che si estende come un’ombra pesante su chi sconta una pena detentiva in Italia.
De Fazio sottolinea con amarezza che, considerando anche un internato in una Residenza per persone con disturbi mentali, la cifra complessiva sale a 77, a cui si aggiungono quattro operatori penitenziari.
Un numero di vittime che si accompagna a una ferita ancora aperta: la recente assoluzione postuma di un agente accusato ingiustamente di tortura, un macigno che gravita sull’immagine della polizia penitenziaria e sulla fiducia nella giustizia.
Questa tragica realtà disegna un quadro desolante: correnti di disperazione, un’assenza di speranza che rende il sistema penale un vero e proprio inferno, un sistema che non offre strumenti per l’integrazione e un percorso di riabilitazione, una condanna perpetua a una spirale di isolamento, un luogo dove, come suggerisce l’emblema del motto del servizio penitenziario – “desipere spem: munus nostrum” – non spero il suo “unione che spe.

Lazione ezione il; l’inzione al: il, o, o, un -I, il pen – il p ione ; de.
l on l de i, i –ione o oione i che il che il, il, e il, il in.La situazione non si limita alla sofferenza dei detenuti.
Gli agenti di polizia penitenziaria, testimoni diretti di questa realtà, si trovano a combattere una battaglia quotidiana contro la disperazione, con risorse umane e psicologiche spesso insufficienti.
Il motto stesso della loro professione, “Desipere spem, munus nostrum” – “Spegnere la speranza è il nostro compito” – ironicamente diviene una profezia autoavverante, un’ammissione implicita dell’inefficacia del sistema nel promuovere la reintegrazione e la riabilitazione.
Il problema non è dunque solo la mancanza di risorse o la carenza di personale, ma un approccio sistemico obsoleto, incapace di affrontare le complesse problematiche legate alla salute mentale, alla tossicodipendenza e alla fragilità sociale che spesso caratterizzano la popolazione carceraria.

È necessario un cambiamento radicale, un ripensamento profondo del modello penitenziario italiano, orientato verso la prevenzione del suicidio, la promozione del benessere psicologico e la creazione di opportunità concrete di riscatto sociale.
Oltre alla riforma strutturale, è cruciale investire nella formazione del personale, promuovendo l’empatia, la capacità di ascolto e la conoscenza di tecniche di gestione della crisi.

Servono programmi di supporto psicologico per detenuti e agenti, reti di collaborazione con associazioni di volontariato e istituzioni locali, per creare un ambiente carcerario più umano, sicuro e capace di offrire una vera speranza di futuro.
L’attuale scenario non è semplicemente un fallimento del sistema penitenziario, ma una profonda ferita alla coscienza collettiva, un campanello d’allarme che non può essere ignorato.

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