La crescente tensione all’interno del carcere “Cantiello e Gaeta” di Alessandria si manifesta con episodi di disordine che sollevano interrogativi urgenti sulla tenuta del sistema penitenziario piemontese.
L’ultima rilevazione, datata 11 dicembre, descrive una dinamica di protesta innescata da una richiesta di trasferimento, apparentemente innocua, da parte di due detenuti legati da vincoli familiari.
La negazione di tale richiesta, apparentemente banale, ha innescato una reazione a catena, con altri detenuti che hanno manifestato solidarietà rifiutandosi di rientrare nelle loro celle, ampliando così il disagio e mettendo a dura prova l’ordine interno.
La necessità di ristabilire la calma ha richiesto un intervento significativo, con l’impiego di personale aggiuntivo richiamato in servizio, evidenziando una situazione di emergenza che va oltre il normale.
La protesta, protrattasi fino alle 22:30, è solo l’ultimo tassello di una spirale di disordini che affligge la struttura.
A questa prima problematica si è poi aggiunta una seconda, ancora più allarmante: un’aggressione ad un detenuto albanese.
Le circostanze dell’aggressione sono ancora oggetto di indagine, ma l’ipotesi più preoccupante, e quella attualmente al vaglio delle autorità, è che l’atto violento sia una forma di ritorsione nei confronti del detenuto per la sua presunta mancata partecipazione alla protesta del giorno precedente.
Questa ipotesi, se confermata, suggerirebbe una dinamica interna di coercizione e intimidazione che mina profondamente il senso di sicurezza all’interno del carcere.
L’intervento di quindici agenti dei Baschi Blu è stato necessario per riportare la calma e garantire l’incolumità del detenuto aggredito, ma il fatto stesso che sia stato necessario un intervento di tale portata sottolinea la gravità della situazione.
Leo Beneduci, segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, non esita a definire la situazione “un vero e proprio colabrodo”, un’immagine vivida che descrive un sistema al collasso, incapace di gestire le problematiche che emergono quotidianamente.
La denuncia non si limita a registrare gli eventi, ma sottolinea l’inadeguatezza delle risposte finora adottate e l’urgente necessità di interventi strutturali.
L’episodio mette in luce una serie di criticità sistemiche che affliggono il carcere italiano, in particolare la carenza di personale, le condizioni di sovraffollamento, la difficoltà di gestire dinamiche interne complesse e la crescente pericolosità dei detenuti.
Il personale penitenziario, spesso in condizioni di forte stress e sotto organico, si trova a fronteggiare quotidianamente situazioni di emergenza che mettono a rischio la loro sicurezza e la dignità dei detenuti.
La denuncia dell’Osapp, quindi, non è solo un grido d’allarme, ma un appello a un cambio di paradigma, un invito a ripensare il ruolo del carcere non solo come luogo di espiazione della pena, ma anche come strumento di riabilitazione e reinserimento sociale, un obiettivo che appare sempre più lontano senza investimenti adeguati in risorse umane, formazione e programmi di intervento mirati.
La sicurezza, la dignità e la tutela di tutti – operatori e detenuti – devono essere considerate priorità assolute.






