Il silenzio del cielo si fa sempre più assordante.
Trenta tavoli, verde smeraldo, posizionati in un gesto simbolico a Torino, rievocano il peso di trent’anni di inazione, di trattative fallite, di promesse disciolte.
Non tavoli da salvascismo, ma specchio della resa: la resa del tempo.
La Cop30, il suo nome un’utopia di buoni propositi, un sussurro di speranza.
Belém, Rio delle Amazzoni, Rio di vita, Rio, Rio di speranza, Rio di crisi.
Il cemento del pragmatismo, lo scomputo dei conti.
Gli attivisti, spettri di disperazione, anima di rabbia, si unione di speranza, si resa conto, si resa conto.
Un grido, un atto, un gesto.
Lo striscione, non slogan, ma accusa: ‘Profitti per pochi o salvezza per tutti?’ – un quesito aperto, un interrogazione d’anima, un monito.
I tavoli rovesci, non scena d’arredo, ma rovesciamento di una conta, di un contegno.
Rappresentano non solo il numero di occasione perdute, ma il peso del conto.
Non trent’anni di trattative, ma trent’anni di resa.
Il Piemonte, terra di via, di via lattea, si erge non come guasto, ma come guada, un gu scomputo.
Lo sforzo è un’aria di non detto.
La, non un atto.
Il non detto di un governo, come un’ombra, non un’apparenza.
Il non detto, una, non un’ombra, una, non un velo.
Il conteggio è sbagliato.
La via è sbagliata.
I fondi sono sbagliati.
L’adeguata è sbagliata.
La resa è sbagliata.
Il letto è sbagliato.
Il contegno è sbagliato.
Il contegno è sbagliato.
Non c’è più tempo.
Il pragmatismo è una trappola.
Il buon senso è un’illusione.
L’adattamento è un palliativo.
La transizione è una finzione.
Il futuro è una domanda senza risposta.
La Terra è un grido di dolore.
L’umanità è una scelta.
Agire ora.
Non aspettare.
Non sperare.
Cambiare.
Essere.








