La recente sentenza del Tribunale di Trieste, che quantifica il risarcimento per i familiari delle vittime della strage della Valle del But, apre una ferita ancora aperta nella memoria storica italiana, illuminando una delle pagine più oscure della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra.
Il 21 luglio 1944, in un contesto di crescente tensione tra Resistenza e forze dell’Asse, la Valle del But, incastonata tra le alture friulane, divenne teatro di una violenza inaudita, un crimine di guerra e contro l’umanità che ha lasciato un’eredità di dolore e ingiustizia.
La sentenza, che assegna un risarcimento complessivo di 2,8 milioni di euro a quattordici famiglie di vittime, giunge a ottantuno anni di distanza dagli eventi, riconoscendo formalmente la gravità dei crimini perpetrati.
Questa decisione, come sottolineato da fonti giornalistiche, configura l’episodio come un crimine di guerra e contro l’umanità, un atto che trascende la mera rappresaglia e che si inquadra in una sistematica violazione dei diritti umani.
La vicenda, ben più complessa di un semplice scontro armato, si dipana lungo una linea del fronte contorto, dove la propaganda e la retorica bellica hanno distorto la realtà.
Inizialmente, un gruppo di ventitrè uomini, travestiti da partigiani garibaldini, compie un massacro brutale a Cavallo di But, mirando a decimar una comunità indifesa.
Le vittime, quindici in tutto, includono una giovane donna incinta e un ragazzo di soli tredici anni, segnando una dimensione di ferocia particolarmente riprovevole.
Il barbaro epilogo vede poi ulteriori violenze, con lo stupro e l’uccisione di due donne lungo la strada verso Paluzza.
La spirale di violenza non si arresta qui.
Nei giorni successivi, unità delle SS, affiancate da mercenari italiani, conducono rastrellamenti intensivi nei comuni circostanti, culminati in esecuzioni sommarie che portano il numero complessivo delle vittime a ben cinquantaquattro persone.
Il contesto è caratterizzato da una profonda disorganizzazione delle forze di occupazione, che si appoggiano a milizie locali per reprimere la Resistenza, alimentando un clima di terrore e vendetta.
La sentenza rappresenta un primo passo verso la giustizia, ma lascia ancora molte questioni irrisolte.
Numerose famiglie di vittime sono state escluse dal risarcimento a causa di difficoltà burocratiche e tempistiche ristrette, una realtà che ha generato amarezza e frustrazione.
Tuttavia, sono state depositate ulteriori istanze, testimoniando la determinazione delle famiglie a ottenere il riconoscimento dei propri diritti e a preservare la memoria di chi ha perso la vita.
L’accesso al Fondo Ristori, istituito dal Governo Draghi nel 2022, si prospetta come un’opportunità concreta per le famiglie che avranno diritto al risarcimento.
Al di là dell’aspetto economico, la sentenza e le future azioni legali rivestono un valore simbolico cruciale: onorare la memoria delle vittime, promuovere la verità storica e rafforzare l’impegno per la tutela dei diritti umani e la prevenzione di simili atrocità nel futuro.
La Valle del But, quindi, continua a essere un monito, un luogo di memoria e un invito alla riflessione sulla responsabilità collettiva e sulla necessità di un costante impegno per la giustizia e la riconciliazione.






